Regia di Marcus Nispel vedi scheda film
Il film fa schifo, appassiona a tratti, è bellissimo in alcuni punti. Nispel, checché se ne dica, sa dirigere e soprattutto inquadrare Jessica Biel non da checca e da regista non tanto di horror.
Ebbene, dopo il capostipite e irraggiungibile Non aprite quella porta di Tobe Hooper, da noi precedentemente già opportunamente recensito, stavolta vogliamo occuparci del suo rifacimento o remake che dir si voglia, datato anno 2003 e firmato, forse rozzamente forse invece sorprendentemente, chissà, da Marcus Nispel, regista oramai specializzatosi nel rovinare e sciupare, vivificare o comunque rigenerare, a prescindere dai risultati ottenuti, perciò conseguentemente dalla loro qualità cinematografica, vecchi e indimenticabili classici del Cinema horror e non.
Infatti, Nispel, regista tedesco naturalizzato statunitense e classe ‘63, ben memore delle pellicole che devono aver inciso non poco durante la sua adolescenza, tralasciando l’opinabile fatto per cui risulta se non del tutto inviso, perlomeno non particolarmente amato e rispettato da molti cinefili e intransigenti puristi nei suoi riguardi aspramente critici e offensivamente durissimi, è colui che ha diretto, oltre al film da noi in questa sede preso in questione, cioè ovviamente Non aprite quella porta, anche i remake di Venerdì 13 e di Conan the Barbarian (titolo così lasciato immutato anche qui da noi in Italia e non tradotto letteralmente in Conan il barbaro proprio per distinguerlo dall’appena citatovi omonimo capolavoro immortale di John Milius di cui n’è, per l’appunto, una moderna rivisitazione, peraltro molto contestata).
Non aprite quella porta di Nispel dura quasi quanto esattamente quello di Hooper, vale a dire novantotto minuti e, ispirandosi naturalmente al soggetto dello stesso Hooper e dello sceneggiatore Kim Henkel che fu alla base del suo, potremmo dire per evitare ripetizioni, antesignano storico, per l’occasione rivisitato e parzialmente reinventato, più che altro ammodernato dal writer Scott Kosar, della pellicola epocale e seminale di Hooper ne ricalca, a grandi linee, la trama. Apportandovi però, com’accennatovi, alcune modifiche rilevanti, se non addirittura eccentricamente personali e, qua e là, geniali. E, per tale nostra affermazione, non ce ne vogliano, per l’appunto, i suoi ostinati detrattori assai numerosi e irriducibili.
In quanto, immediatamente chiariamoci, a noi questo Non aprite quella porta di Nispel non dispiace affatto. Certamente, non può reggere il confronto con l’originale, come dettovi, a nostro avviso e a detta dei più, ineguagliabile. Ma ha, eccome, la sua forte valenza e sa, durante la sua ora e mezza di durata, stupirci e godibilmente terrorizzarci in maniera null’affatto sottostimabile o disdicevole.
Trama: siamo nella contea di Travis in Texas, nell’agosto del ‘73. Anche se l’abbigliamento e il gergo utilizzato paiono quelli di un film ambientato ai giorni nostri. Quattro ragazzi, due uomini e due donne, rispettivamente fidanzati, stanno tornando da una vacanza da loro trascorsa in Messico. Fra loro, spicca l’avvenente e sensuale bellezza rappresentata, meravigliosamente incantevole e incarnata da colei che si rivelerà la più coraggiosa del gruppo, cioè Erin (Jessica Biel, al solito più bella che brava ma emanante, con la sua camicetta striminzita che le scopre piacevolmente l’ombelico e i suoi jeans molto attillati, una carica erotica potentissima). Dopo pochi minuti e dopo aver assistito ad alcune goliardiche scaramucce fra i componenti dell’allegro quartetto, i quattro danno un passaggio a una ragazza che pare uno zombi, cioè una ragazza che sembra una morta vivente, avendo costei lo sguardo perso nel vuoto. La quale, appena entrata nel loro furgoncino, consiglia loro di svoltare e cambiare direzione in quanto, secondo lei, se continueranno nella direzione che stanno seguendo, s’imbatteranno in un uomo molto, molto cattivo e crudelmente impietoso. Al che, dopo aver mostrato ai ragazzi le sue gambe insanguinate e atrocemente scorticate, la donna estrae una pistola dalla sua gonna e, puntandosela alla bocca, si suicida immantinente, fracassandosi il cranio in modo tremendo e scioccante. I ragazzi, sconvolti dall’imponderabile avvenimento assolutamente imprevisto e nefasto, si fermano a una stazione di servizio, in cerca dello sceriffo, al fine di denunciare quanto prima il macabro e allucinante accaduto. Qui, fanno la conoscenza di una vecchia signora burbera e dai modi ambigui che, alle loro domande, risponde in modo maliziosamente evasivo e minaccioso.
L’anziana signora, inoltre, dice loro che lo sceriffo è momentaneamente assente. I ragazzi proseguono quindi incoscientemente nel loro viaggio e presto si fermano a pochi metri da un fatiscente, enorme casolare all’apparenza abbandonato. Qui però ci fermiamo noi e non andiamo avanti nello svelarvi altro. Poiché, se non avete visto il film, vi guasteremmo senza dubbio la visione, rivelandovi troppo.
Che dire? La fotografia è ottima ed è firmata da Daniel Pearl (Mom and Dad). Non aprite quella porta si lascia vedere volentieri e, ai nostri occhi, palesandosi fin dapprincipio come una chiarissima operazione commerciale senza qualsivoglia artistica pretenziosità che, in tal caso, sarebbe risultata oltre che immotivata, fortemente erronea, non è niente di che ma anche niente di male.
Non aprite quella porta comincia veramente a carburare e a farci sussultare appena entra in scena Leatherface (Andrew Bryniarski). Inutile rimarcarlo... È un film grezzo a dismisura ove le battute sono scarsissime e ove abbondano le grossolanità più cinematograficamente oscene e impresentabili. Però, a dispetto del suo impianto tamarro, nonostante sia stato evidentemente realizzato per essere indirizzato a un pubblico di teenager con pochissime pretese, per l’appunto, riesce sostanzialmente a ottemperare al suo primario intento. Cioè quello d’intrattenere in modo stupido ma comunque divertente e, nelle scene sue più gore, splatter ed esageratamente violente, non si può dire che non adempia semplicemente a rispettare gli abusati eppur sempre funzionali e funzionanti classici meccanismi dei film di paura più volutamente prevedibili, altresì efficaci.
Nispel sa il fatto suo, non è, a differenza di ciò che sostengono a spada tratta i suoi haters agguerriti, il primo arrivato. Sa soprattutto che, al di là della tematicahorror da lui visivamente qui enucleata in maniera più che discreta e accettabile, il suo Non aprite quella porta basa la sua maggiore attrattiva sulla beltà sconfinatamente ipnotica della sua immensamente provocante protagonista Jessica Biel, donna dal sex appeal bestiale, saggiamente messa in contrasto con la spietatezza efferata del mostro Leatherface.
Sì, Non aprite quella porta è, a conti fatti, un film più che guardabile e per niente disprezzabile. Se a ciò, per l’appunto, aggiungiamo la grandiosa presenza dell’insuperabile, apoteotica venustà portentosa della Biel, donna che, come si suol dire, a ogni inquadratura buca lo schermo in modo adorabilmente imbarazzante e impressionante, capite bene che il film merita di essere visto alla grande.
Dunque, in sintesi: non sono stato apposta troppo duro contro questo film e non ho voluto stroncarlo e segarlo a mo’ di Leatherface. Anche perché, per un’ora e quaranta minuti circa, vedendo continuamente Jessica Biel, ce l’ho avuto durissimo. Finisco con una freddura: mi raccomando, teste di cazzo, Jessica Biel non va segata. Non mi piacciono le seghe, anche elettriche. Anche se, a esservi franco, la vedo dura farmela... sotto? Sì, Jessica Biel è bella da far paura. Pure Leatherface, infatti, trovandosi dinanzi a lei, dubitò della sua psicopatica durezza e, sinceramente, desiderò buttare via ogni sega e offrirle non solo una carezza ma qualcosa di più amorevolmente ficcante, non so se leggermente tagliente e sanguinante. Sì, Leatherface, si sa, non ci va delicatissimo. Però vorrei dargli un consiglio: caro coniglio di Leatherface, lei non ha mai fatto sesso con una donna. Come uomo, è risaputo, non vale una beneamata minchia. Quindi sappia che la prima volta potrebbe un po’ farle male... Lei, caro Leatherface, la dovrebbe finire di ammazzare le persone. Dovrebbe essere più dolce. Stasera, innanzitutto, mangi tre gelati e li lecchi con gusto. Deve partire dal gelato all’amarena se vuole farsi leccare quello alla crema.
Io sono l’antitesi di Leatherface. In una sola coscia, no, cosa, gli somiglio anche se soltanto a livello metaforico. Lui scarnifica le persone, io denudo la realtà degli ipocriti. Ed è per questo che non ho mai capito perché un uomo e una donna, prima di amoreggiare (tanto per essere eufemistici ed eleganti), debbano passare orge, no, ore, giornate e mesi, perfino anni, corteggiandosi e leccandosi il culo per arrivare al sodo e al liquido.
Sì, sono uguale a Woody Allen. Volete ammazzarmi e farmi a pezzi, poveri pazzi? Sì, certo, continuate a parlare, me ne fotto...
di Stefano Falotico
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