Regia di Seijun Suzuki vedi scheda film
Quello che Tarantino faceva (e non fa più!) negli anni '90, Suzuki lo faceva GIA' negli anni '60. Il regista giapponese si diverte a smembrare il film di genere, in questo caso lo yakuza-movie, creando un universo dall'atmosfera in certi istanti grottesca e in altri funerea, dove la morte è all'ordine del giorno, o meglio all'ordine del minuto, e dove la figura classica del killer via via perde quell'aura da duro e si tramuta in una sorta di macchietta irrazionale. Suzuki utilizza in certi momenti una fotografia contrastata e fa uso di tendine, disegni che si sovrappongono alle immagini, del negativo e di zoomate senza mai scadere nella mera superficialità.
Violenza e sessualità (violenta) sono tipici nei suoi film e fan parte della sua anarchica poetica. Sembra quasi che tramite queste due pulsioni l'uomo risulti più depurato, purificato da sovrastrutture e per questo più sincero e libero, ma al tempo stesso anche più vulnerabile.
Tra le (poche) opere da me viste di Suzuki, forse è la migliore per stile e contenuti. Di sicuro è quella più interessante e gradevole, anche se lontana dal capolavoro
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