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Ame agaru

Regia di Takashi Koizumi vedi scheda film

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La recensione su Ame agaru

di leporello
5 stelle

   Film incerto e barcollante. Si appoggia all’inizio su un registro folkloristico/buonista che subito introduce ad un personaggio protagonista che, privo di quel piglio necessario ad ogni “guerriero”, col suo sorriso standard stampato a mo’ di paresi congenita non riesce a catturare l’attenzione e tanto meno a convincere che si tratti veramente di un “guerriero”; al pari, si attarda pigramente ad introdurre il succo della storia, indugiando su vicende noiose e insignificanti bagnate, basate su una claustrofobica pioggia incessante che non aiuta affatto a decollare e che non sarà peraltro poi mai spiegazione del titolo.

 

   Dei personaggi che intervengono: già detto della poca incisività del protagonista, la di lui moglie (voce critica, afflato della coscienza, forse un io narrante in incognito…) è una figura buonina buonina, delicatina, col vestitino bianchino e lo sguardo sempre basso (per carità, siamo in Giappone, anzi, nell’antico Giappone, per cui…) è una specie di Mary Poppins senza il fegato di buttarsi giù dal tetto con l’ombrellino, una Penelope in pensione, anch’essa come il marito piagata da un’espressione perennemente inebetita; al “popolo” (personaggio collettivo) viene dato molto spazio, sia nella forma degli ospiti della locanda, sia nella forma del personale della “corte dell’imperatore”, e in entrambe i casi nessuna figura viene fatta emergere in modo alcuno (doveva essere la prostituta nella locanda, affogata peraltro in un contesto di un quarto d’ora abbondante di scemaggini simpatiche di gente di paese, o il giovane Gon – mi pare… Gon...- a palazzo), dunque di nessuno ci si ricorda. Unico che muova un po’ la curiosità e il “divertimento” (non è certo un film di genere brillante, anche se tra le righe prova a sfruttarne la vena, ma tra tanta noia uno cerca un po’ qualche motivo per continuare a vivere), con le sue cazziate furiose e il suo carattere alla Braccio di Ferro, unito alla sonorità della lingua giapponese che personalmente adoro, è il “Signore” feudatario al cui ruolo verrà però negata ogni dignità con un finale appunto vagamente indegno, dove anche la musica stona, dove stona ogni intenzione narrativa e persino scenica (tagliare l’insulso inseguimento a cavallo, l’affaccio sul panorama Alpitour dei due sposi, e chiudere con lui che, solitario, brandisce nel bosco la Katana guardando in camera sarebbe stato molto meglio…).

 

   Sopravvalutato. Si appoggia su un nome e un’esperienza importante (Takashi Koizumi è stato suo stretto collaboratore) come quello di Akira Kurosawa, cui il film è dedicato anche con una breve photogallery in apertura di pellicola. Ma non trovo che sia un film troppo riuscito. Nemmeno brutto, ma noioso di certo. izumi

Takashi

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