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La croce dalle sette pietre

Regia di Marco Antonio Adinolfi vedi scheda film

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Raffaele92

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La recensione su La croce dalle sette pietre

di Raffaele92
1 stelle

Ma noi preferiamo ricordarlo con l’altro magnifico titolo: “L’uomo lupo contro la camorra”.

Cosa dire? È un capolavoro, un dizionario del trash, una lezione su come non si deve fare un film.

Una pellicola conosciuta purtroppo solo dai pochi cultori, che per colpa del passaggio da VHS a DVD è diventata irreperibile e oggi meriterebbe assolutamente una regolare distribuzione nel mercato home video.

Ma come commentare un’opera così irripetibile? Da dove cominciare?

Beh, sicuramente dall’interminabile scena della trasformazione del protagonista in uomo lupo, o dell’orgia satanica da antologia dello scult nell’incipit, con un inguardabile “sosia” di Chewbacca a far da sfondo ai titoli di testa.

L’ultima perla che citiamo (ma in ce ne sarebbero tantissime altre) è la sequenza del primo sogno-flashback del protagonista: uno spudorato insulto all’”arte” del montaggio, che vede un ristretto numero di sequenze-immagini ripetersi per oltre quattro minuti, mettendo a dura prova anche lo spettatore più benevolo dal tirare una scarpa contro lo schermo. Chi non fosse ceduto a tale lecito quanto comprensibile atto d’ira, altro non può fare se non piegarsi in due dal ridere.

Cosa aggiungere?

In via definitiva si tratta di una delle più sciatte, povere e trascurate prove di regia e recitazione mai viste (entrambe ad opera di Marco Antonio Andolfi, qui al suo unico – grazie al cielo – tentativo dietro la macchina da presa).

Un trionfo della carenza di idee e di qualsiasi intento o motivazione lontanamente associabile alla Settima Arte.

A renderlo sublime è l’ingenuità e la spontaneità del complesso, dimostrazione palese che il regista, a fronte della propria inesperienza, incapacità e scarsità di mezzi, ce l’abbia messa davvero tutta.

È in fondo tale aspetto a suscitare tenerezza e compassione e a donare a tutto il film quell’aura comico-involontaria che lo rende il capolavoro che è.

Un must, una pietra miliare irrinunciabile, come solo “Le notti del terrore” (1980) di Andrea Bianchi (e forse addirittura peggio).

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