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Il trucido e lo sbirro

Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film

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La recensione su Il trucido e lo sbirro

di FABIO1971
4 stelle

"Come sei impulsivo, aoh! Te impulsivisci e, quanno te impulsi, qua nun se capisce più un cazzo!".
[Tomas Milian a Claudio Cassinelli]

Roma: Tomas Milian è Er Monnezza, il "trucido" del titolo, un ladruncolo da quattro soldi rinchiuso in carcere. Claudio Cassinelli, lo "sbirro", è il commissario Sarti, che nell'ironico incipit del film (una sala ricreativa del carcere dove viene proiettato uno spaghetti western) viene a "prelevare" segretamente in prigione Monnezza: il commissario pretende la sua collaborazione per agganciare il gangster Brescianelli (Henry Silva), boss marsigliese (personaggio che riprende la figura di Albert Bergamelli, storico fondatore della Banda dei Marsigliesi, che proprio nel 1976 venne finalmente arrestato) che, in una sanguinosa escalation di sequestri di persona, ha appena rapito una bambina di 10 anni gravemente malata e per il quale proprio Monnezza aveva lavorato in passato. Insieme ad altri criminali con un conto aperto con Brescianelli, gli uomini della banda del Calabrese (Biagio Pelligra), iniziano a setacciare gli ambienti della malavita organizzata, fino alla drammatica resa dei conti con il gangster.
Il trucido e lo sbirro, salutato all'uscita nelle sale da un notevole consenso popolare, segna l'esordio cinematografico del personaggio del Monnezza: non si tratta ancora del futuro commissario Nico Giraldi (si chiama, infatti, Sergio Marazzi), ma gli elementi che ne sanciranno il successo (l'eloquio sboccato, il look trasandato e maleodorante) sono già ampiamente definiti. La fama del film, in ogni caso, appare decisamente immeritata: la vicenda, infatti, è condotta da Lenzi (ma la colpa va ascritta anche al co-sceneggiatore Dardano Sacchetti) senza troppo mordente, derivativa di un genere che è già diventato parodia di se stesso. Nè commedia con intreccio giallo, nè torbido "poliziottesco", Il trucido e lo sbirro abbraccia e saccheggia entrambi i sottogeneri traducendone grevemente qualche misera suggestione: non si tratta di un problema di plausibilità della vicenda, perchè i personaggi possiedono indubbiamente un loro spessore drammaturgico e, per certi versi, "funzionano", ma di uno script confuso sulle strade da percorrere e di una regia incapace di sfornare almeno una sequenza memorabile. Meglio, allora, ricordare qualche "vergognosa" battuta dei dialoghi (che dal successivo capitolo, La banda del trucido, verranno curati, per le parti del suo personaggio, dallo stesso Milian), che il film dispensa a piene mani saccheggiando "creativamente" il pozzo senza fondo della trivialità: la palma può essere senz'altro assegnata a Milian quando tenta di convincere il Calabrese a proseguire insieme al commissario la caccia a Brescianelli ("E se nun ce stai, questo qua te sbatte ar gabbio finchè nun te esce er vellutello ar culo!"), ma ogni tanto scintillano notevoli e becere perle, come nella sequenza alla centrale del latte, dove per un fortuito scambio di cappello ci scapperà il morto sbagliato (e dove, a fronte di un "Aoh, che fai? Nun scherzà, ridammelo, che me se fredda la cappella", risuona subito un potente "Ma che te frega, tu moje c'ha er riscaldamento autonomo"), oppure, dulcis in fundo, la profonda riflessione che Milian, travestito da imbianchino, dispensa al capitano dei carabinieri ("A sor capità, questo è l'unico paese al mondo dove chi lavora nun magna! Eh, quanno ce vuò, ce vuò... Per colpa de li preti e de Santippe, vivemo a forza de cambiali e pippe!"). In definitiva, uno "spettacolo" misteriosamente sopravvalutato, con un Cassinelli sprecato, un Henry Silva irriconoscibile e gli anonimi Nicoletta Machiavelli e Tano Cimarosa, serviti banalmente da dialoghi e situazioni di dubbio gusto e scarsa incisività.

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