Regia di Andy Wachowski, Larry Wachowski vedi scheda film
«Tutto quello che ha un inizio ha una fine» spiega l’oracolo. Neo, l’eletto, il predestinato, il messia, prossimo al sacrificio conclusivo (ma questa è veramente The End?), dopo aver sostato, con qualche paura e qualche dubbio, nella zona franca, nell’intercapedine, nel solaio tra Matrix e il Mondo delle Macchine, continua a porre domande elementari e ad ottenere risposte che sono nate con l’uomo e moriranno con lui e con tutte le sue creazioni. Organiche, meccaniche o tecnologiche che siano. Come le cose di questo mondo anche i film devono finire. Se a Hollywood sanno ancora fare degli incipit discreti, i finali sono sempre più insostenibili. Lasciano un pervasivo disappunto. Amplificato dalla mania dei sequel. I tanti Smith che infestano le case di produzione hanno un tocco fatale. I fratelli Wachowski, prigionieri della stessa ”Matrice“ che in modo folgorante avevano inventato nel 1999 (il primo capitolo delle serialità postmoderne è, molto spesso, il più riuscito ed originale), si sono concentrati sulla soluzione/compromesso che chiude, non male, i canti della trilogia. Il fascino del primo film in cui molto è inespresso ed oscuro e in cui le “visioni” non sono scontornate e diluite dalla visionarietà compulsiva, dai ritmi serrati, dall’enfasi gestuale, dalla dilatazione dell’effetto estetizzante dei capitoli successivi, è irraggiungibile. In questo terzo capitolo ci sono perdite, lutti, cecità allegoriche, il consueto rosario da compendio filosofico, l’estrinsecazione dei progressi della tecnologia cinematografica, momenti mélo, intuizioni figurative. Nella pioggia incessante che bagna lo scontro fatale della guerra dei mondi, va sott’acqua anche quello che, non solo in Matrix, è ormai marginale in molti film: l’identità dei personaggi, il corpo e il tempo del racconto, l’identificazione degli spettatori, la geometria del set e del campo della visione.
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