Regia di Massimo Ceccherini vedi scheda film
La comicità del toscanaccio Ceccherini si è sempre contraddistinta per beceraggine, volgarità e con il sesso sempre tra i piedi. Stavolta Ceccherini non commette abiura ma di tanto in tanto prova a fare qualcosa di diverso, come lascia intravedere quel monologo iniziale col tacchino, che lascia perplessi e incuriositi. Il canovaccio è quello della tranquilla vita del contadino Lando messa a soqquadro dalla Carrà che organizza l’incontro, dopo tanti anni, con la zia materna, emigrata in America al seguito di un tenentino. Dopo le gioie del ritrovamento iniziano i dolori, con gli zii che si installano nel casolare immerso nelle stupende colline toscane, dove Lando vive col babbo. La zia è un pachiderma con un appetito infinito e somiglia a Gargamella e il marito, reso pazzo dal Vietnam, conosce a memoria Apocalypse Now e si alza tutte le mattine alle 5, ma quando arriva la loro bella figlia con le grandi forme di Victoria Silvstedt, nel cuore di Lando si accende qualcosa. Ondivago tra un antiamericanismo spicciolo versione Chiantishire, battutacce immancabili e pulsioni erotiche sempre in agguato, Ceccherini cerca però di darsi una regolata. I suoi monologhi acquistano una certa inusuale malinconia, solo che l’impianto del film risulta appesantito da una eccessiva lunghezza e si sente la mancanza di una mano saggia che sappia tirar fuori il buono che indubbiamente c’è in quella maschera potenzialmente piena di meraviglie.
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