Regia di Ettore Scola vedi scheda film
La Roma albeggiante, capitale multietnica, ma anche la Roma guardona, ricca e barbona, ‘sballona e cannaiola’. Tutto fuorché Roma. Perché: si può raccontare la ‘città eterna’, centro d’interesse religioso per i cristiani di tutto il mondo, senza alcuna presenza di croci e crocifissi, prelati e vaticanisti?
Coi tempi che corrono per quanto riguarda la religione, ha pensato che così potesse andare, il regista d’origine campana, trapiantato a Roma dall’età di quattro anni, Ettore Scola, con il suo ultimo lavoro Gente di Roma. Dedicato ad Alberto Sordi, a cui aveva promesso una parte, questo film è melanconicamente famigliare, sul modello della famiglia Mackmalbaf, avendo papà Ettore alla regia, Paola e Silvia figlie come sceneggiatrici e tutta una serie di attori-amici dello stesso regista (Arnoldo Foà, Salvatore Marino, Valerio Mastandrea, Antonello Fassari, Fiorenzo Fiorentini scomparso subito dopo la fine delle riprese, Stefania Sandrelli, Rolando Ravello), divertiti dinanzi ad una camera che ritrae immagini documentaristiche, bozzetti di commedia all'italiana, dai sentimenti provincial-popolari, nonostante si affrontino temi come la precarietà del lavoro, l’emarginazione degli anziani, colpiti dal morbo di Alzheimer, l’integrazione sociale e, addirittura, la deportazione nazista dei romani. Insomma, un film-melting-pot, che sventola, con tanto di leggerezza, la bandiera dell’attuale politica italiana, nonostante si vanti Scola (più volte durante il film) di ‘sventolare’ una bandiera rossa. Ma avendo girato il film in digitale, riversato poi su pellicola, è evidente che anche il colore della sua bandiera appare sbiadito. Da questo punto di vista, l’operazione di Gente di Roma è riuscita: raccontare l’attuale situazione nella quale si scolora l’opposizione in Italia. E quindi i girotondi con Nanni Moretti e amici ‘tutti giù per terra’; un fuori luogo (ma pur grande) Vittorio Foa, le cui parole in una piazza ‘rossa’ lasciano il tempo che trovano, insieme a gotha della canzone d’autore, da Francesco De Gregori a Fiorella Mannoia.
Riesce davvero difficile credere che il regista di Gente di Roma sia lo stesso autore di Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? e di un altro capolavoro, un bozzetto che tratteggiava l’Italia del secondo dopoguerra in C’eravamo tanto amati. E’ evidente come, ormai, il regista settantaduenne voglia pavoneggiare una posizione conquistata, che dimentica una visione ‘dal basso’ del reale, per cui l’immagine che della capitale si vuol dare è un inutile tentativo di chi immagina che la res-pubblica vada avanti veramente come lui la descrive.
Che motivo c’è dell’utilizzo di virtuosismi di regia per ritrarre la banalità, come nella carrellata verticale da un tabellone luminoso con gli indici di borsa, che porta alla figura intera di una bambina che chiede l'elemosina al semaforo e tutti che in sala ridono. Ma de che? Di noi gente Romana (borghese-perbenista-catto-comunista), cresciuta all'ombra dei diversi ‘Cuppoloni’ o nelle strade con le scritte sui muri “Dio c’è o ce fa?”, “W Roma – Abbasso Lazio”, “W la fica!”.
Alla fine della proiezione c’è la forte tentazione di urlare: Arredatece Mamma Roma, quanno la luna s’è specchja dentro er fontanone.
Giancarlo Visitilli
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