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Caterina va in città

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Caterina va in città

di LorCio
7 stelle

Montalto di Castro dista da Roma solo novantasette chilometri. Ma questa distanza così esigua nella società di oggi significa molto per la famiglia Jacovoni, intenta nel trasferirsi nella capitale. Sono: papà Giancarlo, insegnante di ragioneria frustato e insoddisfatto che legge il manifesto e si fa portatore di un messaggio di riluttanza nei confronti delle famigerate caste di pseudo-intellettuali e cafoni imborghesiti, palesemente ed ovviamente de sinistra; mamma Agata, sbadata e un po' tonta signora di provincia, con punte di schizofrenia insospettabili, apparentemente succube del marito e rappresentante di un'Italia che ha riposto nel cassetto i propri sogni senza rimpianti e senza apparenti patemi; e la figliola Caterina, esempio di ragazzina dai gusti "strani" e anticonformisti, che muore dalla voglia di andare in città per abbandonare per sempre il limitato luogo dove vive con passiva insofferenza.

 

L'arrivo in città, tuttavia, non fa che causare danni, che si presentano con tardività creando disagi nelle vite dei nostri tre personaggi. Ma di chi è la colpa? Dei genitori minimalisti e radical-chic esageratamente comprensivi coi figli presunti contestatori e dei fascisti duri e crudi che non rinunciano ai riti del tempo che fu e, anche loro, se ne fregano dei figli che passano notti brave. Che insieme, in realtà, vanno d'amore e d'accordo, non come con quei disgraziati dei Jacovoni, così fuori dal coro da risultare disturbanti.

 

Paolo Virzì continua il suo discorso sull'Italia di oggi (all'ottimo e volutamente sopra le righe Castellitto il leitmotiv del film "in questa società...") con un altro racconto di formazione, l'incontro tra una ragazzina ingenua e con una personalità originale ma non prepotente con la grande città, il grande calderone dove vi si ritrovano cani e porci ed è difficile trovare un luogo adatto per dimostrare le proprie virtù. Caterina va in città è un film molto interessante perché fa riflettere con leggerezza sull'Italia contemporanea, patria di incongruenze e incoerenze, appiattita dall'imperante modello televisivo sempre più quinto potere che l'ha resa mediocre e stupida.

 

Roma è l'ideale teatro di questa commedia straniante e sincera, che, oltre ad essere un bel ritratto adolescenziale, è anche un curioso affresco di adulti schizofrenici, passivi, imbecilli, insoddisfatti, cretini. Impietoso ma attendibile, questo Virzì è a metà tra quello scoliano di Ferie d'agosto e quello adolescenziale di Ovosodo: il suo occhio pudico ma senza benda fotografa con sicurezza un cast pressoché perfetto, nel quale spiccano la spontanea e simpatica Alice Teghil, la disarmante e sempre più eccellente Margherita Buy, il sofferto e convincente (come politico post-fascista e, soprattutto, laziale) Claudio Amendola e la brava Paola Tiziana Cruciani. Cammei di un divertito e divertente Michele Placido, Giovanna Melandri ospite ad un talk show che scimmiotta Porta a porta, Maurizio-Costanzo-Show più Costanzo che mai e Roberto Benigni che fa un'apparizione imprevedibile e fulminea.

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