Regia di Alessandro Haber vedi scheda film
«Come si fa a grattarsi il cuore? Bisogna dire aragosta». È una delle tante surrealtà di questo felicissimo esordio nella regia di Alessandro Haber, artista multimediale, attore di cento film e almeno altrettanti spettacoli teatrali, chansonnier in tre dischi e svariati concerti, bukowskiano di fede, borderline per scelta, esagitato ansiogeno. Peculiarità che butta nel fuoco della sua passione: recitare. Con un cast conosciuto e complice ha deciso di riaffrontare l’intenso dramma grottesco di Vittorio Franceschi (un altro esordiente, ma all’incontrario), in un film che solca e invade i tracciati segnati da L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski; e anche quelli, tinti di nero, del dimenticato Anima persa, bellissimo film che Dino Risi ricavò da Arpino. Due fratelli e una donna, accomunati dalla solitudine e dal desiderio di scoprire altre “cose”. Prima ride e poi piange, questo viaggio nei pruriti dell’anima. È, sottolinea Tonino, «come quando c’è il sole e poi piove». Dedicandolo a Nanni Loy, Piero Natoli e a suo padre, l’Haberrante Alessandro cerca ciò che non c’è e ciò che non si può avere. Lo aiutano, concentratissimi, un testo che galleggia con intelligenza nelle parole e una luminosa Monica Scattini, che accende la penombra della fotografia di Italo Petriccione, i silenzi dei cubetti di ghiaccio e quelle vene azzurre «come certe isole...».
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