Regia di Hong Sang-soo vedi scheda film
“Cosa ti dice quella natura”, dice il titolo del nuovo film di Hong Sang-soo, ennesimo compimento di una porzione di carriera in stato di grazia, un capolavoro dopo l’altro. A Donghwa, che vuole fare il poeta ma campa girando filmini dei matrimoni, “quella” natura dice di un mistero irrisolto, un movimento dietro la realtà che gli permette di sentire il profumo della vita. Altrimenti sarebbe tutto grigio. La madre della sua ragazza però non capisce cosa intenda, quel poeta trentacinquenne baffuto, venuto a cenare con tutta la famiglia della fidanzata nella loro grande e lussuosa casa; non capisce cosa veda lui dietro due semplici alberi che si muovono al vento, o dietro il fiore colorato di un arbusto nel bel mezzo della notte. Eppure anche lei è una poetessa, tanto orgogliosa da appendere le sue poesie in corridoio.
Li guarda anche Hong Sang-soo, quegli alberi. A volte, nei suoi film, zittisce i suoi personaggi e si perde in una contemplazione, come ipnotizzato. Crede anche lui che ci sia un mistero? Eppure il suo ultimo film (in concorso alla Berlinale 75) è una manomissione corrosiva di quel modo di guardare il mondo, e lo è anche in modo concreto e narrativo. Perché Donghwa è un privilegiato, la sorella depressa della sua ragazza glielo ripete più volte (“ti aiuta il tuo ricco padre avvocato”), nonostante Donghwa neghi tutto e dica di essere indipendente. Ha il culo parato, Donghwa, e solo per questo può permettersi di cercare la vezzosa poesia del mistero delle cose.
Ma da che pulpito?, verrebbe da dire. Non conosciamo il passato dei genitori della sua ragazza, dicono di “aver affrontato davvero la vita” ma chi può dirlo? Il film, che gioca a sedare i pregiudizi dei protagonisti fingendosi una rilassante partie de campagne ambientata in 24 ore, è un’impietosa resa all’irriconoscibilità dei poeti e della poesia in un mondo di status sociali e categorizzazioni umane, un Indovina chi viene a cena? che diventa Il gusto del saké (del coreano soju, anzi), con il consueto ruolo dell’alcol rivelatorio dei film di Hong (On The Beach At Night Alone, In Front Of Your Face) ma con la nuova percezione autoriflessiva che la poesia ironica del dialogo del regista sia forse (sempre stata) una farsa, una mera coincidenza, un’amenità. Con il miracolo, però, che proprio quell’incertezza - che legittima o meno la poesia, semmai “legittimare la poesia” potesse significare qualcosa - è resa proprio secondo la logica onirica di quest’ultima fase di carriera del grande regista sudcoreano. Una logica onirica che nonostante ogni dubbio sopravvive.
Hong Sang-soo al trentatreesimo lungometraggio ha fatto il suo film perfetto, un film che come il suo protagonista fa poesia ma per guadagnare (leggasi, risparmiare) riprende tutto con la qualità visiva pixellata dello scadente filmino di un matrimonio.
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