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The Safe House

Regia di Lionel Baier vedi scheda film

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La recensione su The Safe House

di EightAndHalf
6 stelle

La “cache” è il nascondiglio di casa Boltanski, protagonista del nuovo film dello svizzero Lionel Baier che qui è più che mai un delicato cioccolatiere intento a confezionare un confetto. La Cache, dunque: un altro film di Baier in cui la radio è protagonista (vedasi Les grandes ondes (à l’ouest)), un altro film di Baier che è un bildungsroman (vedasi Garçon Stupide), un altro film di Baier in cui un luogo fa da scenografia principale (ma non unica, com’era ne La Vanité) e accoglie gioie e dolori di una famiglia di intellettuali e artisti parigini durante il Maggio del 68 (con dinamiche generazionali che già attraversavano, però nel presente, La dérive des continents). Le rivolte per strada arrivano dalle finestre, intervallate alle dichiarazioni di Charles de Gaulle che arrivano invece dalla televisione, e intanto la città ha sete di conoscenza ed emancipazione, popola spontaneamente le mostre d’arte e celebra la rivoluzione. 

In realtà la famiglia Boltanski è piuttosto chiusa in se stessa. La bisnonna di Odessa rimane barricata in casa ascoltando Prokoviev, la nonna zoppa mercanteggia le opere d’arte dello zio suo figlio, il nonno si destreggia nelle chiacchiere da bistrot e i genitori cercano di cambiare il mondo dalle barricate, “ma non è facile”. Il bambino protagonista, Christophe, fa ping pong fra dei familiari estroversi degni de I Tenenbaum mentre cerca la sua identità scatenandosi sulla musica francese dell’epoca, cambiando vestiti e appiccicandosi orgogliosamente la stella giudaica di Abramo sulla manica. È un quadretto familiare di sopravvissuti all’occupazione nazista, disillusi (o quasi) nei confronti del presente e contrari a qualsiasi forma di nostalgia. È il nuovo fiocchetto garbato sulla filmografia di un regista che cerca sempre un’eleganza essenziale e un brio cortese, ma che forse non completa mai i suoi periodi, interrompe la gioia troppo presto e si pesta i piedi da solo, compattandosi in una brevità forse insufficiente. Anche solo il titolo, La Cache, che si riferisce a un singolo evento del film (breve 10 minuti) e che evoca i nascondimenti dai nazisti nella Francia degli Anni Quaranta, dice di una struttura complessa che vuole sintetizzare piuttosto che esplorare, e che al netto di alcune invenzioni esaltanti (gli sfondi dei finestrini dell’auto dei Boltanski sono un arcobaleno di immagini e colori) non fora mai una bolla di sufficiente carineria.

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