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Le dernier combat

Regia di Luc Besson vedi scheda film

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La recensione su Le dernier combat

di alan smithee
5 stelle

34 TFF – COSE CHE VERRANNO

Parigi non c’è più: una guerra nucleare l’ha resa un ammasso indistinguibile di rovine, entro e sopra le quali un residuo ammaccato e brutalizzato di umanità cerca di sopravvivere a scapito di chi gli sta attorno provandolo delle scarse risorse di cibo ancora rintracciabili.

La popolazione inoltre, imbarbarita nei costumi e nelle attitudini, ha perso pure il dono della parola e pertanto le scarne comunicazioni tra individui si celebrano o con uno spesso brutale conflitto fisico, o con una gestualità che rende questi sopravvissuti come dei trogloditi entro una giungla di macerie.

Un piccolo uomo dall’apparenza mite, cerca ingegnosamente di costruirsi un rudimentale aereo assemblando pezzi che a noi paiono raccattati a vanvera, ma che alla fine riescono a farci credere di somigliare ad un qualcosa in grado di librarsi in cielo.

Scampato ad un attacco da parte di occasionali nemici, l’uomo parte finalmente in volo lanciandosi dalle finestre di un palazzo e finisce in un’altra area distrutta, leggermente più in periferia, tra le rovine di un ospedale in cui un unico dottore superstite cerca di ripararsi dalla furia distruttiva di un possente barbaro che minaccia di entrare per fare razzia di viveri e medicinali.

Il medico soccorre il pilota, ferito e mezzo svenuto, e lo cura, ricostituendone la salute grazie anche ad una abbuffata di pesce, piovuto letteralmente da cielo pochi giorni prima, quasi come ad annunciare un nefasto futuro di stampo biblico.

Si arriverà allo scontro finale tra il nostro piccolo uomo e il massiccio antagonista, tenendo conto che la posta in gioco prevede altresì una merce molto rara, ovvero una donna, l’unica fino ad ora rimasta in vita.

L’esordio nel lungometraggio di Luc Besson avviene in coerenza con molte delle tematiche che rappresenteranno il suo futuro da regista e pure da produttore.

La sceneggiatura, scritta a quattro mani con l’altro cineasta, qui interprete, anzi protagonista, Pierre Jolivet, rimane incerta sulla strada da prendersi, indecisa se restare sul grottesco iniziale (il gesticolare senza parlare crea spesso momenti buffi) o accennare anche a qualcosa di più truce, orrorifico o serio.

Tra gli interpreti notiamo, nel ruolo del cattivo per eccellenza, quel Fritz Wepper divenuto celebre come fido collaboratore dell’ispettore Derrick, mentre con questo film inizia anche il sodalizio tra il regista Besson e un già corpulento Jean Reno.

Il bianco e nero della fotografia rende bene la desolazione che trasuda dalle macerie di un mondo ormai irrimediabilmente compromesso, ma il film, molto irrisolto, rimane nulla più che un esordio curioso ed insolito, stiloso ma anche un po’ troppo calcolato e fine a se stesso.

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