Regia di Alessandro Piva vedi scheda film
C’è una gran voglia, in questo momento di rinascita nel e del cinema italiano, di commedia all’italiana. Mio cognato, seconda prova del pugliese Piva dopo il sorprendente Lacapagira, riparte addirittura dal Sorpasso di Dino Risi. Due uomini e una macchina. Uno è debordante, spavaldo, gradasso, volgare, ambiguo. L’altro è timido, impacciato, introverso, inesperto, “ragioniere” nell’animo, dottore in goffaggine. Per le vie di una Bari vecchia e fatiscente (bello lo squarcio iniziale, da contrapporre con quello di Taranto nel Miracolo di Winspeare), i cognati si confrontano, si annusano, si studiano, si odiano, si picchiano, proiettando sullo schermo modelli contemporanei confusi e infelici, smarriti e depressi. Puntuale la rappresentazione degli sfondi, veri e propri laghi inaciditi dal finto benessere. Meno efficace il rapporto scostante dei protagonisti, che paiono subire più che le indecisioni di Piva, la sua curiosa non voglia di affondare il coltello nella piaga. Forse una vena dichiaratamente grottesca avrebbe giovato maggiormente. Bravi Lo Cascio (di più) e Rubini.
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