Regia di Vittorio De Seta vedi scheda film
Nel 1967 don Lorenzo Milani diede alle stampe Lettere a una professoressa. L'anno successivo Albino Bernardini, un maestro sardo trasferitosi a Roma, pubblicò Un anno a Pietralata, racconto autobiografico della sua esperienza nelle borgate capitoline. Fu un'epoca di grandi rivolgimenti sociali e il modello scolastico veniva messo in discussione non soltanto dagli studenti, ma anche da alcuni docenti illuminati.
Nel 1972 la RAI affidò a Vittorio De Seta, documentarista il cui spessore è paragonabile a quello di Robert Flaherty, la trasposizione del romanzo autobiografico di Bernardini. Girato nella borgate orientali della capitale (Tiburtino Terzo, Pietralata e Torraccia), il capolavoro del regista siciliano rende vivide le difficoltà di un maestro di scuola elementare (Bruno Cirino, attore politicamente e socialmente impegnato, scomparso prematuramente e fratello maggiore del ben più noto e assai diverso Paolo Cirino Pomicino) animato dalle migliori intenzioni. I colleghi lo irridono per gli sforzi inani, il preside ne avversa i metodi innovativi, lui ha qualche comprensibile momento di scoraggiamento. E parte caparbiamente dal basso: capisce che la scuola è vissuta in maniera banalmente performativa (il voto, la promozione), che i processi d'astrazione devono partire dalla concretezza delle vite dei ragazzi, che l'abbandono scolastico non può essere arginato a suon di lettere e ingiunzioni alle famiglie, ma andando casa per casa a parlare con quegli stessi genitori che hanno bisogno dei figli per arrotondare le entrate.
Grazie alla sua dedizione, la sua classe quinta di discoli, tutti maschi, si trasforma. E noi siamo testimoni di quella metamorfosi faticosa, lenta, raccontata con sguardo iperrealista (impossibile distinguere la realtà dalla finzione anche rispetto all'unico attore professionista, Cirino, che offre una prova di stratosferico verismo), di un gruppo di bambini poveri o poverissimi (entriamo nelle loro baracche, vediamo i volti segnati prematuramente dalla mancanza di cura, ascoltiamo il loro implacabile romanesco), che a poco a poco recepiscono gli sforzi del loro maestro. Il loro rapporto con la natura (animali cacciati e torturati) rappresenta il viatico per quel passaggio dall'esperienza diretta all'organizzazione del pensiero che capovolge l'approccio brutalmente mnemonico manifestato all'arrivo del nuovo insegnante.
Senza Diario di un maestro, docufiction - come si dice oggi - incontrovertibilmente seminale nell'evoluzione del linguaggio documentaristico, non ci sarebbero stati film come Essere e avere, La classe e La mia classe né autori come Andrea Segre e Daniele Vicari.
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