Regia di Vittorio De Seta vedi scheda film
Questo film di De Seta è indispensabile per due ordini di motivi, uno formale, l’altro contenutistico. Riguardo al primo, “Diario di un maestro” è la risposta (con 40 anni d’anticipo) a tutti coloro che oggi ritengono che il cinema di finzione (o “a soggetto”, che dir si voglia) non sia più in grado di informarci sulla realtà sociale di un Paese e che questa funzione sia oramai svolta dal documentario. “Diario di un maestro” non è un documentario: si basa infatti su di un canovaccio narrativo che, per quanto esile, indirizza lo sviluppo del film, disponendo una precisa successione di eventi e consentendo quindi un’evoluzione psicologica e relazionale dei personaggi. Ma ovviamente non si tratta di un film di finzione vero e proprio, in quanto gran parte della “azione” si svolge all’interno della classe e si fonda sull’improvvisazione. Ma non è l’improvvisazione anarchica e delirante di un Cassavetes: qui, il maestro Bruno tracce le linee guida del dibattito, dopodiché spetta ai bambini arricchirle con le loro impressioni. E non si tratta nemmeno di una “docufiction” che parte dalla realtà per trasfigurarla in poesia, come per esempio in Pietro Marcello. Con De Seta, semmai, ci si approssima al Rossellini “didattico”, anche se molto meno didascalico. Lo stile adottato in “Diaro di un maestro” è la dimostrazione di come si possa fare cinema con la solidità di una sceneggiatura e l’autenticità di luoghi e persone. Da una parte c’è la linearità di una trama fragile ma ordinata, gli interventi della voce fuori campo a evidenziare e sintetizzare i pensieri del maestro, gli intermezzi “recitati” (come il dialogo col direttore o quello con un altro maestro); dall’altra il caos fertile, l’esuberanza, la spontaneità dei ragazzini. Dal punto di vista dei contenuti, questo film è altrettanto prezioso. La figura del maestro Bruno, infatti, è a suo modo eroica. Bruno è un umile, ma ostinato, idealista, che combatte a viso aperto contro il cinismo e l’irresponsabilità di un sistema scolastico-educativo fallimentare, già all’epoca. Una Scuola resa impotente dalla burocrazia e da metodi didattici inefficaci, alla quale Bruno si oppone con pazienza e passione, valorizzando il dialogo coi ragazzi “problematici”, carpendone i codici di comportamento, sondandone le condizioni economiche e familiari, offrendo loro un’occasione di riscatto. Bruno è un vero rivoluzionario, un “disobbediente” con la testa sulle spalle: non un velleitario intellettualista, ma uno capace di “fare la Rivoluzione” ogni giorno, nel proprio ambiente, nel concreto. E non per se stesso.
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