Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Monumentale serie televisiva in quattordici episodi tratta dal romanzo omonimo di Alfred Doblin, "Berlin Alexanderplatz" è forse il film più rappresentativo di Rainer Werner Fassbinder, non perché sia un film oggettivamente perfetto (ma quale film può dirsi tale?), ma perché è la summa dell'opera del suo autore, il progetto a cui teneva di più, in cui riuscì a trasporre in immagini un romanzo che era stato fondamentale per la sua crescita personale, e insieme uno sceneggiato televisivo assai ambizioso che ha le qualità formali e sostanziali tipiche del grande cinema. Su YouTube ce n'è la versione completa doppiata in italiano e a suo tempo trasmessa dalla Rai: nei mesi scorsi avevo fatto qualche tentativo di vedere il primo episodio, ma poi l'idea di dovermi "sorbire" un film di oltre quindici ore di durata mi aveva puntualmente scoraggiato... stavolta invece mi sono immerso nel film come lo si fa in un lungo romanzo, ma la visione non è risultata quasi mai ostica o noiosa (paradossalmente proprio il primo episodio contiene all'inizio la lunga scena in cui Franz Biberkopf, appena uscito di galera, va in casa di un ebreo che gli racconta la storia di un certo Zannovich in modo piuttosto statico e verboso, e infatti aveva causato l'interruzione della visione da parte mia... ma negli episodi successivi la trama scorre agilmente, in maniera generalmente fluida e comprensibile, oltre che all'insegna di una grande cura dello stile). Fassbinder ha trovato nella lunga saga del piccolo criminale Franz che dopo quattro anni di carcere decide senza riuscirci di "restare onesto" una sorta di ritratto autobiografico all'insegna di una "pietas" che ne riscatta il calvario masochistico: centrale resta il rapporto di velata attrazione omosessuale con Reinhold, che aiuterà Franz ad andare avanti ma ne causerà anche la rovina. Nell'arco di quindici ore ci sono molte pagine di grande cinema, fra cui indicherei soprattutto il rapporto di Franz con Lina e l'inganno del malvagio Luders, il rapporto torbido con Reinhold dallo scambio di fidanzate fino alla tragedia automobilistica in cui Franz perderà un braccio, l'estasi d'amore con Mieze pur turbata da episodi di violenza domestica, e soprattutto la parte ambientata nei boschi in cui Reinhold tenta di sedurre e poi uccide Mieze. La fotografia di Xaver Schwarzenberger è ricchissima di tonalità e andrebbe ammirata su uno schermo cinematografico, come è stato fatto in diverse proiezioni negli Stati Uniti; il montaggio è curato da Juliane Lorenz (che fu una delle ultime partner nella vita del regista) e dallo stesso Fassbinder. L'epilogo onirico e surreale resta parzialmente problematico, non tanto per le licenze poetiche che si prende da Doblin, quanto per l'eccessiva sottolineatura di alcuni simbolismi visionari; resta comunque una scelta originale e controcorrente da parte di Fassbinder su cui concludere la serie, e non lo farei pesare in negativo come hanno fatto alcuni critici che non lo hanno apprezzato. Nel cast bisogna anzitutto segnalare la notevole prestazione di Gunther Lamprecht, attore che fino ad allora si era distinto poco, ma che in questo caso risulta decisamente all'altezza del difficile personaggio, che sta quasi sempre in scena in tutte le puntate; da ricordare soprattutto nelle esplosioni di rabbia di Franz che gelano il sangue (ad esempio quando picchia Mieze) o nella scena in cui presta la propria voce a due calici di birra. Fra gli altri interpreti, si distingue un'ottima Barbara Sukowa come Mieze (paragonata dal critico americano Vincent Canby alla Lillian Gish di "Giglio infranto" per il candore del personaggio), un perfetto Gottfried John nel ruolo del perfido e ambiguo Reinhold, Elisabeth Trissenaar come Lina nelle prime puntate, l'immancabile Hanna Schygulla come Eva (ruolo leggermente decorativo, a dire il vero) e Ivan Desny come Pums. Quasi tutta la "stock company" dei film di Fassbinder si ritrova nel cast, e il risultato è memorabile a livello recitativo. Con questa recensione non voglio affermare che in "Berlin Alexanderplatz" non manchino difetti e alcuni momenti dove c'è un calo dell'ispirazione, ma il risultato complessivo è impressionante, degno dei più alti risultati cinetelevisivi come "Fanny e Alexander", "Il decalogo" o "Heimat" 1 e 2. La visione può essere impegnativa e può essere dilazionata in diverse sedute (io l'ho completato in circa tre settimane), ma la densità della visione di una Germania sull'orlo dell'abisso nazista, la ricchezza dei riferimenti letterari e l'intelligente direzione di Fassbinder ne fanno un'esperienza indimenticabile.
voto 9/10
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