Regia di Elem Klimov vedi scheda film
Klimov ha una straordinaria capacità, quella di far convivere commedia e tragedia sul bordo estremo, su quella soglia critica al di qua e al di là della quale può esserci di tutto.
Il dolente Lacrimosa dal Requiem di Mozart segue la marcia del drappello superstite della resistenza ucraina nel bosco di larici.
Gli uomini sono ripresi di spalle, le divise sporche, lacere, coperte di terra rossa, e i fucili in spalla.
Il ragazzo, Florya, li raggiunge, ora è dei loro.
La mdp passa veloce fra gli alberi, c’è neve sui rami e a macchie larghe ai lati del sentiero.
Per un attimo si alza a guardare il cielo, ma è solo una inquadratura svogliata e sghemba.
Poi lo schermo torna nero.
Fine.
Va’ e vedi.
Non è un ordine, è quello che rimane da dire.
Parole, brevi, secche, le uniche che può dire chi ha visto a chi ancora ignora.
Cosa raccontare, come costruire scenari, inserire voci, personaggi, dare tempo, azione, ordine razionale e successione se tutto è diventato inutile farsa prima, orrenda tragedia poi, se la terra rossa forma alte colonne nell’aria allo scoppio delle mine, gli alberi si spezzano in due, tre, infinite briciole, e l’aria é attraversata da proiettili impazziti lungo tracce luminose che sembrano video games?
E ammazzano anche una placida mucca al pascolo.
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio,
al lamento d’agnello dei fanciulli,
all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Si pensa ad un gioco, all’inizio.
Due ragazzini scavano nelle buche lasciate dalla guerra, trovano elmetti, divise, un fucile.
Bisognava non dissotterrarlo, il fucile.
Le cose da quel momento si mettono a girare molto male.
Il gioco del fucile ritrovato diventa una realtà sempre più atroce, invedibile, ma Klimov ce la fa vedere e sentire, tutta.
Il ragazzo e l’amico corrono contenti del bottino, lì vicino c’è il villaggio di casoni di legno di contadini poveri alla fine di una guerra (è il 1943 in Bielorussia, invasa dai Tedeschi ora in ritirata dal fronte russo).
C’è una resistenza organizzata che si nasconde nei boschi.
Il ragazzo, ora che ha il fucile, vuol partire per fare la guerra, é pronto con la sua buffa valigia di cartone.
Andare in guerra con la valigia e il vestito troppo grande del padre, sparito, morto, non c’è più.
Klimov ha una straordinaria capacità, quella di far convivere commedia e tragedia sul bordo estremo, su quella soglia critica al di qua e al di là della quale può esserci di tutto.
Può esserci il sole che filtra tra gli alberi stillanti acqua per la panica doccia campestre di Florya e Glasha, incontrata nel campo partigiano, ma può esserci anche un “corpo stirato dai cingoli del carro armato, un'impressione di stracci calcati a forza nel fango rosso...” .
Sia quel che sia, Florya andrà e vedrà.
Sarà lui l’occhio di Klimov, alla sua innocenza un po’ baggiana, dapprima, e poi rattrappita in orrore, paura, dolore, rabbia, vendetta, il regista consegna il compito di vedere.
I partigiani passano a prenderlo senza tante sdolcinature e ringraziamenti per la povera madre che li accoglie gentile.
La donna e il suo povero mondo fatto di casa, amore, bontà, bellezza.
C’è un’altra donna nel film, oltre il coro indistinto delle ruvide contadine che vanno al massacro.
E’ Glasha, bella, bionda, giovane. Sorride come una bambina che vuole solo carezze, corre nella foresta con Florya, ride perché anche per lei tutto può essere un gioco.
Purtroppo bisognerà vedere anche lei, alla fine.
Viva, certo, è stata lasciata in vita, ma come...
Va’ e vedi
E i 628 villaggi distrutti dai tedeschi con i loro abitanti lungo la ritirata?
Cose che sappiamo, certo, sappiamo anche dei lager, dei sei milioni di ebrei, sappiamo tutto, noi.
Klimov ne ricostruisce uno, di villaggio, ci mette dentro il piccolo eroe della storia, e cala tutto in fondo in fondo, nel girone più profondo dell’Inferno.
Va’ e vedi
E “poi il bombardamento, nella radura, tra gli alberi, le fronde degli abeti che si muovono colpite dai mortai e il suono che arriva non attutito dalla barriera vegetale...”
E “ ... poi, il finale, un girotondo da fermo, una carrellata e uno zoom in avanti sul ragazzino, su Hitler "shininghizzato" in fotografia, il sorriso reso pazzo dalla Storia che tritura, la chiesa bruciata con le persone al suo interno, una caverna platonica rovesciata al di fuori sulla realtà...”
Va’ e vedi
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Dopo questo film e Agonija, Klimov non ne ha più girati per sua scelta, riteneva di aver detto tutto. E’ morto nel 2003.
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