Regia di Elem Klimov vedi scheda film
Con un approccio diverso da quello tipico del realismo socialista ed anche da quello del periodo della normalizzazione brezneviana (più vicino, semmai, al cinema del "disgelo"), Klimov, che per un certo periodo ha incarnato al cinema l'epoca della perestrojka, narra la storia di un ragazzino che, a causa della guerra, passa direttamente dal periodo dei giochi a quello della morte e della distruzione. Giocando, infatti, con un amico, dissotterra da una spiaggia vicina al suo villaggio, il moschetto di un soldato tedesco. Questo semplice fatto lo conduce ad una precoce entrata nelle bande della resistenza sovietica ai nazisti, preludio ad una serie pressoché inenarrabile di atrocità cui è costretto ad assistere. Klimov (il cui pessimismo cosmico era influenzato anche dalla tragedia della precoce morte della moglie in un incidente stradale) racconta il passaggio delle forze armate tedesche come fosse quello di un'orda di guerrieri unni o mongoli: alla morte e alla distruzione si unisce il sadismo e la volontà di incutere il terrore in quelle che, come enuncia un ufficiale fanatico, sono ritenute razze inferiori. Per qualche aspetto, "Va' e vedi" ricorda addirittura le prime opere di Tarkovskij ("L'infanzia di Ivan" e "Andrej Rubliov"), anche se Klimov si tiene lontano dagli intenti onirici e poetici dell'illustre connazionale, al quale non erano stati lesinati i rigori della censura di regime. Probabilmente il film del regista nato a Stalingrado nel 1933 (morto nel 2003) ha intenti più didascalici che non puramente poetici, come sembra di dedurre dalla rabbia e dalle lacrime finali del giovane protagonista, che con una scarica di moschetto sull'icona di Hitler spera di poter far tornare indietro la Storia. E come, fin dall'inizio, il regista ammonisce a non improvvisarsi apprendisti stregoni, a maggior ragione vale il suo invito a non disseppellire giocattoli più grandi per le nostre possibilità di controllo.
Le atrocità commesse in Bielorussia dall'esercito tedesco in ritirata, nell'ultima fase del secondo conflitto mondiale, viste attraverso gli occhi di un ragazzino che comprende il dolore sulla propria pelle.
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