Regia di Elem Klimov vedi scheda film
Tra i film che affrontano lo spinoso tema dei massacri perpetrati localmente dai nazisti figura questo "Và e vedi", ultima pellicola diretta dal sovietico Elem Klimov (la traduzione corretta dell'originale, però, è "Vieni e vedi", una citazione dal libro biblico dell'Apocalisse, e non si comprende il senso del cambiamento nel titolo italiano).
Il film di Klimov è una durissima requisitoria contro la ferocia e la disumanità della guerra, qui vista con gli occhi di un adolescente, Florya, costretto suo malgrado ad unirsi ai partigiani bielorussi dopo lo sterminio della sua famiglia e testimone, nella parte finale, di un violentissimo massacro da parte dei tedeschi che coinvolgerà un intero villaggio. Si tratta di un film che da noi solo negli ultimi anni ha acquisito una qualche rinomanza, una produzione realizzata nel periodo della Perestrojka gorbacioviana e premiata al festival di Mosca, con un ottimo riscontro di pubblico nelle sale dell'Unione sovietica.
"Và e vedi" richiede una partecipazione viscerale da parte dello spettatore, che fin dall'inizio viene introdotto in una realtà alterata, dove un quindicenne è obbligato a maturare in maniera precoce, ad accettare una tragedia dolorosa e a convivere con il costante pericolo della morte in un clima sempre più febbrile e allucinato che la regia sa costruire con sapienza, grazie a un crescendo drammaturgico orchestrato con indubbia bravura. Si tratta di un'opera che va ad inserirsi in un filone antibellico che ha nobili antenati come "Orizzonti di gloria", "All'ovest niente di nuovo" ma anche "L'infanzia di Ivan" di Tarkovskij, una pellicola che ci mette davanti agli occhi gli orrori del conflitto senza però compiacersene mai, con una prima parte di taglio episodico che vede anche un breve idillio di Florya con la giovane Glasha, stroncato sul nascere, un episodio di un furto di una mucca forse memore del Monicelli de "La grande guerra", e in generale l'obbligo di sopravvivere in una foresta percepita come estranea al dramma dei soldati. La regia è solida, competente, intelligente sia nel dirigere gli attori, fra cui non si può non menzionare l'exploit del giovanissimo Aleksej Kravchenko, una maschera indimenticabile nella disumanizzazione dei lineamenti del volto completamente alterato, sia nella gestione delle inquadrature e dei numerosi movimenti di macchina, in particolare alcuni lunghi e complessi realizzati con una steadycam di agilità kubrickiana.
L'episodio del massacro dei civili in una capanna data alle fiamme fa gelare il sangue, ma è girato con un rigore e un'asciuttezza per molti versi ammirevole, mentre forse si può trovare leggermente gratuita la scelta di inserire immagini di archivio nel finale e il finale stesso con le immagini del nazismo che scorrono all'indietro appare una soluzione un po' troppo intellettualizzata per un film che, come detto in precedenza, spesso ricerca un coinvolgimento molto "di pancia". Tuttavia, nel complesso si tratta di un capolavoro fra i più memorabili degli anni 80 e della fine del 900, un film che ormai appartiene alla migliore memoria collettiva cinefila del mondo intero.
Voto 10/10
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