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Giochi proibiti

Regia di René Clément vedi scheda film

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La recensione su Giochi proibiti

di pazuzu
10 stelle

Giugno 1940, Seconda Guerra Mondiale. Mentre percorre le strade sterrate della campagna francese, un folto gruppo di sfollati parigini subisce un attacco aereo da parte dei tedeschi: la piccola Paulette e la sua famiglia (madre padre e Jock, il cagnolino sempre in braccio a lei), si gettano a terra terrorizzati, ma il cane sfugge alla sua presa e fila via, Paulette istintivamente lo rincorre e lo raggiunge, i genitori rincorrono e raggiungono lei, poi di nuovo vanno tutti a terra. Arriva la raffica, ma a rialzarsi è solo Paulette: mamma e papà sono stati colpiti a morte, mentre Jock, schiacciato dal corpo stesso della bimba, si contorce negli ultimi spasmi. Passano pochi istanti ed ecco sopraggiungere una nuova carovana di fuggiaschi: Paulette (con stretto a sé il cane, ormai morto) viene caricata sulla prima carrozza, dove una donna osserva la bestia, gliela strappa dalle mani e la getta via. «Non possiamo essere così carichi, poi non vedi che è morto?» fa alla bimba, che di lì a un minuto è di nuovo giù, su una sponda del fiume in cui il cane è finito, ad aspettare che la corrente glielo restituisca. Tutto questo nei primi 10 minuti: folgoranti, strazianti, indimenticabili.
L'ora abbondante di pellicola che segue si assesta su un registro diverso, più leggero, quasi sospeso, ma non per questo meno significativo. Paulette viene accolta in casa sua da Michel, un ragazzino di 11 anni, circa il doppio della sua età, quarto ed ultimo figlio dei Dollé, una famiglia di contadini che di tutto avrebbe bisogno tranne che di un'altra bocca da sfamare: ma pur non avendone alcuna intenzione, il padre decide di tenere temporaneamente la piccola, al solo scopo di impedire che ad assumersene oneri e soprattutto onori siano gli odiati (e decorati) vicini, i Gouard. Accompagnata da Michel al mulino, Paulette seppellisce il proprio cane, ma qualcosa ancora non le torna: se tutti gli uomini giacciono nei loro "buchi" vicini, tenendosi compagnia a vicenda, perché Jock deve restare solo? Perché non adibire quello spazio ad un vero cimitero degli animali affinché nessuno di essi soffra di solitudine?
Giochi Proibiti è una fiaba delicata ed agghiacciante che ci mostra la guerra attraverso lo sguardo di chi l'innocenza non l'ha ancora perduta, evidenziando i danni irreparabili che procura alla psiche di chi dalla propria infanzia vorrebbe solo sogni e divertimenti, ma non avendo il tempo per le bambole si trova ridotto a crescere con le bombe. Protetta da un ragazzino forzatamente ben più maturo di quanto la sua età concederebbe, la piccola protagonista vive catapultata nel mondo dei grandi, costretta suo malgrado ad accettarne le regole: non sa che ci sarebbero ipotesi diverse, probabilmente non ricorda cosa sia la pace, e di certo non è in grado di percepire appieno la tragedia della morte, che per lei, bambina cresciuta in tempo di guerra, è solo una fatalità che si ripete con frequenza, una presenza costante ed inevitabile con cui relazionarsi e convivere; il suo approccio all'uccisione dei genitori è quindi sproporzionatamente freddo, quasi incosciente, così come a quella del cane, il suo gioco preferito, l'unico concesso in un tempo che non lascia spazio a svaghi. È stata la guerra, generatrice di morte, a portarle via tutto, e, non avendo altro a disposizione, la guerra e la morte diventano il fulcro del suo nuovo giocattolo: e allora via a cercare croci per il proprio cimitero, quella lunga per la giraffa, quella tozza per il gatto grosso, e quella più piccola per i pulcini, predisponendo già le nuove bare per i futuri inquilini, spalleggiata da Michel, che al gioco ci sta volentieri, al punto da rubare per lei anche quelle che ornano il carro che trasporta le esequie del fratello. Ma non c'è alcuna cattiveria nei loro gesti, anzi, ad uscire con le ossa rotte è proprio il mondo degli adulti, vili ed egoisti, bugiardi ed opportunisti, incapaci di comprendere i bisogni dei bambini al punto da limitarsi ad insegnargli niente più che il mero meccanicismo di una preghiera. Sicché la religione viene intesa da Paulette in maniera del tutto personale, elementare e priva di orpelli: per lei, come per Michel, è solo un elemento accessorio, una parte secondaria del gioco; rifugio facile e consolatorio per eccellenza, interviene a sollevare l'uomo laddove questi ne sente il bisogno, mutando pelle a seconda delle necessità: se per gli adulti l'urgenza è salvare la propria anima nella possibile imminenza della morte, per i bambini è trovare un argomento ludico soddisfacente in grado di esorcizzare la crudezza della realtà di cui sono incolpevoli spettatori.
Premiata con il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1952, quella di René Clément è un'opera toccante e di rara delicatezza che racconta la guerra e la morte dal punto di vista dei bambini centrando l'attenzione sulla quotidianità delle loro esistenze, evitando leziosità e luoghi comuni e lasciando le armi quasi totalmente in disparte (eccezion fatta per il bellissimo incipit). Tra gli interpreti, esordio intenso e convincente della giovanissima protagonista Brigitte Fossey.

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