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Giochi proibiti

Regia di René Clément vedi scheda film

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La recensione su Giochi proibiti

di Baliverna
7 stelle

L'amicizia tra due bambini con il sottofondo della seconda guerra mondiale. Ci sono meno buoni sentimenti di quelo che si potrebbe pensare.

È una pellicola che passa pochissimo sul piccolo schermo, probabilmente a motivo degli attori, ignoti ai più. Io l'ho avvistato e guardato su Arte (in versione restaurata), e non ricordo di averlo mai visto sulla televisione italiana. Il film, comunque, ricevette la palma d'oro a Cannes e Rene Clement è un regista francese fondamentale soprattutto per gli anni '50 e '60; di lui ricordo il bellissimo “Delitto in pieno sole” con Alain Delon.

Se in diverse altre sue opere del regista prevale la malinconia, qui, invece, si percepisce una certa leggera cattiveria. La rappresentazione della campagna francese lascia poco per stare allegri, e in questo Clement non fa certo eccezione nel cinema francese. Non si ravvisa nessuna idealizzazione della vita tra i campi: discordie interne alle famiglie e tra famiglie, rapporti freddi in paese, odi atavici, e via dicendo. Evidentemente questo stato di cose era abbastanza diffuso nella realtà.

Nonostante abbia come protagonisti due bambini, il film non dispensa affatto buoni sentimenti, e non è innocente; possiede una superficie, se non proprio sgradevole, scabosa e acidula, questo sì. Nessun personaggio è simpatico o buono; tutti hanno tratti nei casi migliori spigolosi, in quelli peggiori piuttosto maligni. L'unica che pare essere vittima innocente, o che venga trascinata quando combina qualcosa, è la bambina stessa. Ella è forse quella che subisce il male di quelli che stanno attorno a lei, il suo migliore amico compreso. Il gioco a cui la spinge – rubare crocifissi soprattutto dalle tombe – non ha nulla di simpatico o di birichino, ma è anzi un passatempo torbido e macabro. E il bambino stesso non è meno antipatico di suo padre e pratica una curiosa doppia moralità in fatto di religione: da una parte prega e insegna a pregare, dall'altra ruba, mente, non desiste neanche quando altri vengono incolpati delle sue malefatte, e fa confessioni sacrileghe: appena uscito dal confessionale dove aveva confessato il furto delle croci, va a rubare la croce dell'altare... Insomma, è un diavoletto.

Vorrei rilevare anche un altro elemento, visibile in filigrana. Abbondano le situazioni di atti interrotti, che per certi versi ricordano i film di Bunuel: la bambina viene disturbata più volte quando vuole seppellire il cane, i pasti della famiglia vengono sempre interrotti da accadimenti non piacevoli, e la giovane coppia clandestina viene sempre importunata quando si apparta per amoreggiare... Sono troppi i casi di atti piacevoli o importanti che vengono interrotti, per non notarlo. Forse ciò contribuisce all'atmosfera sgradevole.

Quanto invece alla cattiveria nel rappresentare i bambini e le famiglie, qui Clement mi fa ripensare a Alexander Mackendrick.

La colonna sonora è costituita dal celeberrimo pezzo per chitarra classica del titolo, che peraltro è anonimo. La musica è dolce e cullante, mentre non lo è quello che vediamo in scena.

Per concludere. al di là dell'effetto “carta vetrata” che il film ha prodotto su di me, è ben girato e recitato.

Certo, poi: avrei preferito una pellicola meno... abrasiva.

 

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