Regia di Eli Roth vedi scheda film
Sull'esempio di Romero, l'esordiente Eli Roth concepisce l'horror in chiave politica: una vicenda, non priva di risvolti satirici, che diventa metafora del decadimento della società americana, dominata dall'incomprensione e dallo sfacelo dei valori riflesso nel disfacimento della carne, mentre la paranoia del contagio allude all'ossessione da AIDS. E' soprattutto però un horror citazionistico: il virus che si diffonde tramite l'acqua potabile rimanda ancora a Romero e al suo "La città verrà distrutta all'alba", l'ambientazione boschiva e lo chalet in cui un gruppo di teenager trascorre una vacanza ricordano "La casa" di Raimi, gli abitanti locali aggressivi e pronti a uccidere si erano già visti in "Non aprite quella porta" di Hopper e "Le colline hanno gli occhi" di Craven, le paure e le condizioni psicologiche dei ragazzi soggetti alle trasformazioni sono le stesse del protagonista di "Un lupo mannaro americano a Londra" di Landis, mentre i mutamenti mostruosi dei corpi citano apertamente il primo Cronenberg e le musiche di Angelo Badalamenti fanno pensare a Lynch. Ben diretto e avvincente, si accontenta di un finale beffardo e apocalittico visto già troppe volte.
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