Regia di Glauber Rocha vedi scheda film
IL PARADISO È PERDUTO
Firmin, figlio di pescatori, torna a casa dopo aver vissuto di espedienti a Bahia. Ma la vita al villaggio è dura; i grossisti strozzineggiano protetti dalle guardie mentre la fede imprigiona gli animi in una rassegnazione sonnambolica. Rocha è uno che non ci sta. Linguisticamente si accosta alla Nouvelle Vague e ai suoi tentativi di spezzare la linearità del racconto tradizionale e idealmente parteggia per il povero Firmin che incita i suoi alla rivolta. Ciononostante il regista subisce la fascinazione del mondo atavico (i riti) e paradisiaco (i volti, i corpi, il paesaggio) che descrive, ora con voli lirici ora con fermezza documentaristica. Oltretutto la guerra di Firmin contro la schiavitù dei ricchi-bianchi e contro la superstizione offre una prospettiva desolante; la città, lo sradicamento, la libertà di morire come cani. L'energia libertaria che attraversa il film finisce così per ripiegarsi su se stessa lasciandoci per le mani poco più che un bellissimo e sensuale diaporama.
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