Regia di Kumakiri Kazuyoshi vedi scheda film
Che Kumakiri metta in gioco e sfidi la predisposizione dello spettatore, è fuori discussione. Lo fece già con la sua opera prima, Kichiku, terrorismo cinematografico aggressivo e sgradevole. E anche Antenna è aggressivo, sgradevole. Ma è pure didascalico e, potremmo dire, “letterario”, in quanto non si sottrae dall’utilizzare un apparato metaforico abbastanza elementare (la masturbazione come atto per espellere e ricordare il passato, la parete finale, simbolo del muro che impediva alla memoria di apparire, finalmente abbattuta a colpi di martello) per esplicitare una storia e una narrazione spesso cincischiate. E se a volte alcune sequenze risultano bellamente inquietanti (la realtà-finzione dell’omicidio della sorellina da parte del fratello adolescente), l’impressione è che Kumakiri giri un po’ su se stesso, senza riuscire ad affondare con la giusta chirurgica consapevolezza in territori spinosi come la morte della mente e il recupero della stessa attraverso il sacrificio e il dolore. E l’idea delle antenne umane come segni indagatori del reale e dei suoi misteri è decisamente banaloccia. Kumakiri non è un incompetente, e si vede: dovrebbe asciugarsi, e aprirsi (che non significa convenzionalizzarsi).
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