Regia di Michael Schorr vedi scheda film
Il lavoro con le sue implicazioni, i drammi nell' ottenerlo e la paura della sua assenza, sono negli ultimi anni diventati oggetto di numerose pellicole, non tutte contraddistinte dal Loach touch ma, spesso, utili per comprendere i cambiamenti di questa nostra epoca globalizzata. Anche "Schultze" parla di un uomo che per tutta la vita, nel suo paesino tedesco, ha faticato in miniera e, alle soglie della pensione, si ritrova con un oceano di tempo libero (ma non liberato dalla noia, dalla sterile ritualità quotidiana, dal vuoto di affetti profondi) e una lampada a forma di prosciutto come regalo aziendale.Nella sua situazione di non più attivi si trovano anche i due amici con cui da sempre condivide il gioco degli scacchi, bevute di birra, passeggiate in bicicletta regolate dai capricci di un passaggio a livello. Abitudine. L' abitudine a considerare la propria esistenza un fatto compiuto, senza drammi certo, ma allo stesso tempo senza alcun significativo progetto per il futuro. Finchè la passione per la musica di Schultze ( che, da Tati teutonico, si alza e toglie il cappello ogni volta che saluta qualcheduno) e una casuale sua incursione sulle onde del blues del sud statunitense, lo portano a fare quanto mai ci si sarebbe attesi da lui, pingue e bonario pensionato del Vecchio Continente: un viaggio verso il Texas , alla ricerca di quelle vive sonorità, dei suoi colleghi musicisti ( Schultze suona per passatempo la fisarmonica), dell' umanità che parla una lingua incomprensibile ma facilmente superabile con la mimica, i gesti, la dolcezza negli occhi, la solidarietà fra persone semplici.
Il viaggio di Schultze, motivato fors' anche da un incontro sentimentale morto sul nascere, procede secondo i binari della lentezza. E non si parla soltanto della calma con cui, su di una boat house, il Nostro attraversa corsi d' acqua, fermandosi di quando in quando per un guasto o per procacciarsi il carburante (imperdibile l' incontro con una famiglia di colore che lo ospiterà, rifocillandolo di "cibi americani" e donandogli il temporaneo ristoro di una casa , di sorrisi sinceri, di un ballo). Si pensa, piuttosto, allo stato d' animo, lontano le mille miglia dalla frenesia e dallo scetticismo con cui gli stessi amici restati al villaggio non possono non pensare alla sua "impresa" e all' improbabilità d' una riuscita. Schultze vive , momento per momento, la bellezza inattesa così come gli accidenti del percorso, il timido ma ricchissimo contatto interpersonale e la pace con cui resta a lungo da solo . Schultze non è schiavo del tempo, accoglie le occasioni che il tempo, supportato dall' alterità radicale degli spazi, può fornire alla sua vitalissima pinguedine, ancora curiosa dei paesaggi e mai sottraentesi allo sguardo dello sconosciuto o dello straniero. Certo, il tour verso la manifestazione musicale gemellata colla cittadina tedesca (scopo formale del viaggio), forse, non giungerà a pieno compimento; noi, tuttavia, abbiamo già scordato quel pretesto, quell' ulteriore appiglio causale che consente, ora, alla mole serena (rasserenata, infine!) di Schultze di affrancarsi dal peso di tutto il carbone spalato, di tutti i progetti da sempre rimandati, dal conservatorismo provinciale in cui è vissuto dignitosamente benchè consegnato alla solitudine( anche nella mitica trasferta, il protagonista non può fare a meno di un nanetto in miniatura, esile legame con la propria Heimat, simbolo di un' autunnale disposizione al cambiamento, messa in giuoco di sè che non necessita però di abiure e può dunque tenersi con la malinconia, colla materialità , attraverso gli oggetti, del ricordo).
Questo magnifico film del documentarista Schorr, capace di coniugare attori non professionisti con altri piuttosto noti in patria (vedi i due colleghi in pensione) parla, con ironia dilatata in sequenze, anch' esse capaci di prendersi tutto il tempo necessario per descrivere un luogo o consentire l' epifania del gag, di Europa e America nella basicità dell' identità possibile : la musica, la schiettezza dei modi, la lontananza da modelli imposti e posticci che tutto omologa in un serraglio universale del consumo senza gioia.Nessun revanscismo mitteleuropeo versus Usa , pertanto: solo una partitura di umanità che s' incrociano.Lo stesso sogno di lenta, determinata riconciliazione con la vita che già animò Alvin, un vecchio alla ricerca del fratello sopra una falciatrice, nella "storia vera", dolorosa e sublime, di un certo David Lynch. Sarebbe un peccato non fare una visita a questa produzione rigorosa e divertentissima, melanconica senza lacrime studiate a tavolino, che sa raccontarci , non giudicando, il peso rivoluzionario delle scelte, il dinamismo comunque vincente che non ha nè può avere limiti nell' età o nella storia passata di un Uomo.
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