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La città proibita

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La città proibita

di rj
6 stelle

"La politica del figlio unico ha influenzato la Cina dal 1979 al 2013 (dove il diritto si è espanso fino a 3) a causa della forte crescita demografica. Ogni famiglia può avere al massimo un figlio. Mei, la secondogenita di una famiglia, viene tenuta nascosta al governo perché nata in quegli anni. A un certo punto si trasferirà in Italia per cercare sua sorella, partita per il Bel Paese."

Questa è l’idea da cui è partito Mainetti, creando una storia inventata basata su un evento reale. Mei, addestrata sin da piccola, è una guerriera prodigiosa che pratica arti marziali, parte fondamentale del film, rendendolo il primo fight movie italiano.

Dopo aver realizzato il film di supereroi italiano considerato da molti il più riuscito, il regista di Lo chiamavano Jeeg Robot de-naturalizza un genere nato in Oriente, poi portato negli Stati Uniti, e realizza un prodotto italiano davvero niente male.

I combattimenti, certamente interessanti e coinvolgenti, diventano però un po’ troppo lunghi in certi momenti, ma riescono ovviamente a tenere il pubblico incollato allo schermo per via del coinvolgimento che questo film ha.

Vedere un’inversione rispetto a ciò a cui siamo abituati è ciò che sorprende lo spettatore, che rimane coinvolto nella scena e nelle imprese della giovane e minuta Mei che prende a calci energumeni abituati a picchiare.

Roma c’è tutta: il cibo, gli edifici importanti, il dialetto e gli strozzini (come in ogni città, ovvio).

Il problema principale della storia, che si nota nella sceneggiatura, è la grande quantità di sottotrame poco approfondite e inserite un po’ alla rinfusa.

Non parliamo di montaggio e regia, perché quelli sono praticamente perfetti e da manuale così come una fotografia decisamente interessante, spesso extra diegetica e non naturale, anche per via degli scenari molto convincenti.

Un buon film, che emoziona e cattura, ma che si perde un po’ nella scrittura e nel voler mettere "troppo", andando però poco in profondità.

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