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La città proibita

Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film

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La recensione su La città proibita

di Antisistema
6 stelle

Personaggi confinati ai margini della società e sentimenti più forti di qualsiasi razionalità (“L’amore è più forte della legge” recita una didascalie di apertura), sono la miscela che muove il cinema di Gabriele Mainetti. “La Città Proibita” (2025), comprime ed espande continuamente i propri spazi, attraverso i quali la macchina da presa gioca inizialmente, in un’ascensione verticale, che porta la cinese Mei (Yaxi Liu) a farsi strada nell’edificio a suon di arti marziali, per ritrovare la sorella scomparsa. Non siamo in Cina. Né tantomeno nella famosa città proibita. L’inquadratura dall’alto disvela un “pezzo” di estremo Oriente nel bel mezzo del rione Esquilino di Roma.
Gli intenti però si scontrano con una realizzazione pratica non sempre centrata, così l’illusione invece di essere disvelata dalla forza del meccanismo costruttivo, viene rotta da un volgare sproloquio in dialetto romanesco marcato, finendo con il ricondurre l’operazione su binari assai più banali.
Eppure questo miscuglio di oriente ed occidente, in una salsa “taroccata”, risulta essere l’elemento di maggior presa. Una foto nel ristorante la “Città Proibita”, vede uno di fonte l’altro Wang (Chunuy Shanshan) losco capo della emergente mafia cinese, con Bruce Lee, la più grande star del cinema di arti marziali, costantemente omaggiato dal regista. Il presente ed il passato uniti assieme. Ovviamente un “trucco” a-posteriori, ma la finzione è capace di superare anche la morte fisica (sono ben note le profanazioni del “cadavere” di Bruce Lee fatte per svariati anni, così da spremere fino in fondo il fenomeno cinematografico ai botteghini).
Mei si muove in un rione Esquilino decisamente differente da quello reale. Cinesi, africani e minoranze varie, hanno colonizzato un luogo tra i simboli della romanità per eccellenza, assediando gli “autoctoni” come Marcello (Enrico Borrello), nel chiuso di un’angusta cucina, mentre tenta di portare disperatamente avanti la trattoria di famiglia, assieme alla madre Lorena (Sabrina Ferilli).
Tale attività la si può accostare all’ultimo villaggio circondato all’esterno dalla marmaglia straniera di ogni dove, come sottolineato dal boss locale Annibale (Marco Giallini). Poco importa che in questa Roma alla rovescia, in realtà i romani stessi, diventano i nuovi “galli” del fumetto di “Asterix & Obelix” ed infondo lo stesso criminale trae profitto grazie al racket dell’immigrazione illegale.
Proprio l’elemento straniero, sarà la chiave di volta per far disvelare a Marcello, la realtà dietro la scomparsa del padre Alfredo, fuggito con una prostituta cinese, scopertasi la sorella di Mei.

 

Yaxi Liu

La città proibita (2025): Yaxi Liu


Mainetti poco interessato ai raccordi e alle psicologie, mostra una buona mano nel girare gli scontri. Grazie all’attività di stunt-woman dell’interprete Yaxi Liu, non fa ricorso a controfigure, né a trucchi di montaggio per mascherare i colpi. In questo modo l’azione risulta essere sempre fluida, dinamica e chiara da seguire. Il regista cerca di variare i combattimenti con un ampio campionario di modalità. Dalle tecniche di arti-marziali, passando per i vari oggetti sottomano presenti in scena sino ad arrivare a coltelli e bastoni, grazie ai quali non lesina mai la necessaria dose di violenza.
Mei quanto lo stesso regista, mostra un’ampia conoscenza degli spazi e degli strumenti da poter adoperare in modo da cercare di uscire per quanto possibile vincitrice dagli scontri. Non gioca mai di forza bruta (seppur Mainetti scelga una protagonista di una certa stazza, in contrasto con certe ridicole scelte di casting da pesi piuma d’oltreoceano che menano inspiegabilmente con successo colossi grossi il triplo di loro), quanto di strategia nelle modalità d’attacco, in cui sceglie di colpire a sorpresa quanto soprattutto per prima, garantendosi un deciso vantaggio nel risultato finale. Una concezione dell’azione decisamente credibile e reale, in antitesi con l’impianto strutturale da fiaba melodrammatica.
Eguale perizia, non si riscontra nella volontà di costruire una narrazione un po’ più compatta e nel tratteggio della psicologia dei personaggi. L’amore che muove gli intenti degli attori in scena (Mei per la sorella, Annibale per Lorena e Wang per il figlio Maggio), non risulta sempre sufficiente a dare forza emotiva ad una narrazione, che mostra una cedevolezza evidente a stereotipi stantii (l’ennesimo omaggio a “Vacanze Romane” di William Wyler che ha poco senso per un pubblico italiano al giorno d’oggi), cadute pacchiane (il balletto di Wang) e provincialismo d’accatto (un dialetto romanesco che lungi dal conferire naturalismo, mostra solo una chiusura d’intenti nei confronti del mondo). Eppure proprio quest’ultimo “malus”, trova nel sovvertimento del pre-finale, attraverso un Annibale completamente ribaltato come figura, in quanto ingombrante elemento disarmonico da eliminare, in modo da indicare al genere stesso una possibile via. Bisogna uccidere l’elemento “localistico” da macchietta, in quanto rudere deteriore del cinema italiano, così che possa divenire nuovamente grande ed esportabile all’estero, facendosi strada tra una concorrenza sempre più forte di altri mercati.
Al terzo film Mainetti si muove attraverso qualche scelta buona e tanti bassi, ma forse pare aver compreso in tale intuizione, la possibilità di poter finalmente far crescere il proprio cinema ed al tempo stesso quello di genere nostrano.  

 

Marco Giallini

La città proibita (2025): Marco Giallini

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