Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Le solite vacanze nel paese natio, in quella casa che non ci si decide a vendere.
E' un'opera che si pone a metà tra il cinema di finzione e il documentario, ossia la semplice ripresa della realtà. Non è escluso che si recitasse a soggetto, improvvisando i dialoghi nelle scene. Almeno questa è la sensazione che ho avuto, perché sembra che gli attori non recitino affatto, ma vivano veramente.
Il regista si reca in Val Trebbia, nel paese natio, per trascorrere un periodo di vacanza con moglie e figlio nella casa natia. E' l'occasione per rivedere i luoghi dell'infanzia e della giovinezza, e rimestare nei ricordi che affiorano casualmente e si intersecano con il presente. Egli si sente legato a quel luogo, anche se non è un posto bellissimo, proprio perché è là che trascorse l'inizio della sua esistenza.
Tra le scene della vita quotidiana delle vacanze (soprattutto con i bagni nel fiume), sono inserite alcune sequenze di immaginazione-sogno riferite ai ricordi, come la visione della morte della madre, ricordo che evidentemente l'ha segnato non poco. Altre sequenze non sono facili classificare. Parlo ad esempio della rappresentazione della crocifissione di Cristo da parte di alcuni ragazzi, con toni che rasentano la blasfemia. E' l'ossessione anticattolica di Bellocchio che affiora, come in molti altri suoi film.
La scena principale della pellicola è forse quella della lite con la moglie, la quale non gradisce di trascorrere le vacanze in quel luogo un po' squallido che non è né pianura, né montagna, né mare, popolato da gente rozza e insignificante. Neppure capisce l'attaccamento per la casa d'infanzia del marito.
E' una pellicola un po' sfilacciata e bislacca, minore nella filmografia di Bellocchio, proprio per il suo rifiuto dello stile tipico del cinema a favore di una riproduzione semplice della realtà. Tuttavia si lascia guardare, e alcune scene hanno una consistenza non male. E' bello anche il sogno con i ricordi del protagonista che scorrono sul fiume. E dopotutto, i dialoghi, benché improvvisati o quasi, non sono banali.
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