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Casa de los Babys

Regia di John Sayles vedi scheda film

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La recensione su Casa de los Babys

di FilmTv Rivista
stelle

John Sayles non segue mai una storia, in senso tradizionale. Costruisce personaggi, dentro una situazione forte ed emblematica, che crescono lentamente soprattutto attraverso l’interazione. Questo lo rende, soprattutto in Casa de los Babys, il più eclettico, inclassificabile e attento narratore cinematografico americano contemporaneo, in grado di affrontare problemi seri con cognizione di causa e dovizia di particolari (che affiorano in dialoghi fluidi e realistici, come solo chi conosce la gente vera sa scrivere). Stavolta più che mai l’esplorazione in fieri dello spazio tra i personaggi, per lo più femminili, gli consente di affrontare in chiave emblematica l’impari rapporto tra Messico e Stati Uniti, approfondendo il discorso già intrapreso nel capolavoro Lone Star. Infatti le donne americane borghesi in attesa, nel villaggio messicano, di ottenere il nulla osta per l’adozione di neonati chicani, abbandonati a malincuore da giovani madri indigenti e lavoratrici, sono il lato insospettabile, umano ma non meno controverso, di una drammatica verità che lega i due paesi confinanti: gli Stati Uniti “raffinano” la “materia prima” umana (i bambini) che il Messico produce, perché gli uomini d’affari americani, troppo presi dalla prassi capitalistica, non hanno più tempo ed energia pulsionale da destinare alla procreazione. Spietato nell’assunto, delicato nel modo di entrare nella sfera privata del nucleo femminile multietnico, Sayles in Casa de los Babys delinea uno scenario inquietante, disperato ma articolato e sincero, dove i sentimenti, i tic, le nevrosi, le difficoltà materiali, le ossessioni, le situazioni paradossali si intrecciano senza lasciare allo spettatore alcuna falsa speranza di redenzione. L’autore non si finge ottimista, constata l’ingiustizia, ne mostra le dinamiche, non giudica singole persone (cerca però di comprenderle), tracciando una diagnosi ambientale con spessore sociologico, politico e antropologico intransigente: ha la sensibilità e la competenza di uno psicologo infantile (il monello di strada analfabeta, che non può leggere il libro di fiabe sulla capra ricevuto in dono dalla donna americana che stava cercando di derubare); l’esperienza del viaggiatore attento, in grado di cogliere le contraddizioni umane; la tecnica del narratore in grado di irretire lentamente lo spettatore non con colpi di scena, ma con l’adesione lucida ai personaggi. Che sia un capolavoro lo si comprende dalla sequenza delle due donne, la futura madre e la madre negata, che parlano in lingue diverse, senza capirsi, ma percependo ognuna lo stato d’animo dell’altra.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 0 del 0

Autore: Anton Giulio Mancino

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