Regia di Khyentse Norbu vedi scheda film
Nel Bhutan d’oggi, i bhutanesi sono del ieri, solo il giovane Dondup desidera raggiungere “la terra dei sogni”, la grande America; e un giorno ha la possibilità di farlo, dato che là gli si è presentato un lavoro, come coglitore di mele; Dondup parte, ma perde la corriera che lo avrebbe dovuto portare all’aeroporto; inizia così per lui un viaggio verso la riscoperta delle proprie radici, fondate su sogni, favole e magie.
Inutile ricordare che l’inizio del terzo millennio cinematografico, sarà ricordato grazie ai capolavori che l’oriente ci offre ormai annualmente, dato che il secondo film del bhutanese monaco buddista Khyentse Norbu, è una vera e propria apologia del ricordo, sfumato ma quanto mai presente. “Maghi e viaggiatori” presentato al 60° Festival di Venezia nella sezione “Controcorrente” è un opera dalla leggiadria esemplare, dall’avvolgimento spirituale e dalla morale accorata mai accorta; suddiviso in due grandi correnti celesti, il presente, storia naturale presente in tutti gli animi umani opulenti di casualità e destino, e il passato, dipanato di un giallo fatiscente e mistico, simbologia di una morale persistente nella desolazione conosciuta ma raramente ricordata, l’opera patriarcale di tutto ciò che piace, dona infiniti spunti su cui riflettersi, su cui conoscersi e su cui dimenticarsi. I maghi e i viaggiatori sono coloro che sanno più di quello che sanno, che vedono oltre quello che vedono, e che pensano più di quanto vorrebbero, il regista, è consapevole che il vedere non lascia spazio al percepire e fa così un discorso ancestrale su quanto bisognerebbe vedere per capire dio e la sua incontaminata natura, fa percepire quanto i sogni siano spesso ancora più fittizi della realtà, con metafore lungimiranti e parole ben spese. Solo a tratti il film si rivela un po’ lento, ma il procedere per accumuli fa più bene di quanto si potesse immaginare, le interpretazioni di un intero cast non professionista giova più di quanto si potesse desiderare e la fotografia kurosawaiana crea momenti intramontabili, come l’arrivo sullo sfondo dei primi viandanti, quando al contrario il protagonista è fermo a pensare seduto su di una valigia, rinnegando le proprie origini di “sognatore” e accettando quelle statiche dell’amore risolutore, preventivato fin da un non dono alla propria terra.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta