Regia di Khyentse Norbu vedi scheda film
Cosa ci può essere di più triste di un abitante nel piccolo regno del Bhutan, incastonato nella catena dell’Himalaya, che ascolta musica americana e indossa una t-shirt griffata “I Love NY”?
Khyentse Norbu, collaboratore di Bertolucci per L’ultimo imperatore, con Maghi e viaggiatori, presentato nella Sezione Controcorrente della 60° Mostra del cinema di Venezia, torna sul rapporto Oriente-Occidente, risultando meno compiacente verso l’Occidente, a giusta ragione dei tempi che stiamo vivendo. Questo film è meno interessante del primo (La coppa, un gruppo di monaci buddisti appassionati di calcio), pur dovendo affrontare e sviluppare un raffronto fra la tradizione insita di quei luoghi (è interamente girato in Bhutan, dopo il permesso accordato da parte del governo per la prima volta nella storia della regione) e la modernità che ‘spira’ dall’Occidente, sempre più imbarbarito. Norbu affronta la storia con i suoi tempi, lenti, schierandosi dalla parte di chi preferisce sentirsi nel mondo come a casa propria, anziché considerare la sola propria patria l’unico territorio in cui risiedere e convivere. Eppure Maghi e viaggiatori è denso d’amor di patria.
A Dondup, un giovane funzionario del governo, è stato affidato un incarico in una remota zona rurale. Ma l’American dream lo invade e lo possiede. Il sogno di andare in Occidente, lo porta a mentire al suo capo e a partire. Ma perde l’autobus che lo avrebbe portato alla vicina città di Thimphu e, mettendosi in marcia con l’ausilio delle sue sole gambe, lungo il cammino trova altri viaggiatori: un monaco buddista, un venditore di mele e un commerciante di carta di riso insieme alla figlia.
Il film armonizza, alla stessa maniera di una màndala tibetano, uno squisito gusto estetico (inquadrature calibrate e senza alcun uso di virtuosismi; splendida fotografia), mai contrapposto alla natura spirituale di un popolo dalla grande cultura. Con la scrittura tipicamente poetica, e quindi con tanto di metafore (il viaggio, la trasformazione), ossimori (la lentezza del Bhutan e la frenesia dell’America) Maghi e viaggiatori si presenta ora come una fiaba, ma in tanti momenti come il racconto reale e immediato di un cambiamento che è all’orizzonte, come un portento, il cui arrivo non sempre è portatore di benefici. Buddha ha detto: “la speranza dà dolore”. Infatti, il fantomatico “paese dei sogni”, per cui il protagonista agogna, ben presto si rivelerà per quello che è grazie alla favola, alla saggezza, narratagli dal monaco. Questo racconto darà l’occasione a Dondup di (ri)vedere il suo mondo attraverso uno sguardo diverso ed una consapevolezza nuova, tanto da consentirgli di acquisire una nuova identità.
Gli interpreti del film sono tutti attori non professionisti: un produttore TV, il capo della commissione del mercato azionario del Bhutan, un colonnello che lavora come guardia del corpo del re, un bidello, una giovane studentessa di medicina. Tutti molto bravi e tutti ben diretti da Norbu, il quale ha anche investito proprie risorse finanziarie nella produzione del film.
Alla fine due figure rimangono profondamente impresse, come una matrice bicolore, nello sguardo di chi guarda e ascolta: la pacificità spirituale dei piccoli gesti e delle grandi gesta di cui è dotato il monaco e l’inconfondibile arrivismo a cui aspira il giovane protagonista. Entrambi viaggiatori, che viaggiano nella stessa direzione, calpestando la stessa terra, ma con orizzonti completamente differenti.
Giancarlo Visitilli
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