Regia di Sofia Coppola vedi scheda film
Questo Natale non c’è da lamentarsi! Nel clima generale, in cui versa la programmazione e la distribuzione dei film, tra una vacanza in India e un altro Natale sul Nilo, grande sorpresa riserva questo secondo film della figlia d’arte, Sofia Coppola. Regista di grande personalità, attraverso Lost in translation - L’amore tradotto, pur trattandosi di un film minore, rispetto alla sua prima regia Il giardino delle vergini suicide, rimane una chicca, sul modello della commedia anni Trenta, di cui il pubblico presente alla 60° Mostra del Cinema di Venezia ha già potuto godere (Premio Controcorrente per la migliore attrice protagonista). Ma non basta una sola visione nel caso di questo film, essendoci come protagonista uno degli attori fra i più divertenti e poliedrici del cinema odierno, l’icona del cinema indipendente, Bill Murray, la cui interpretazione sarebbe veramente colpevole non nominare per i prossimi Oscar.
Ora annoiato, doloroso, poi irriverente, poco dopo sorpreso e immobile dinanzi alle sorprese che gli riserva la vita, compresa la bella Charlotte (Scarlett Johnasson) al bivio tra l’adolescenza e l’età adulta, Bob, l’attore hollywoodiano incarna l’uomo fra i quaranta e cinquanta, che trova ancora una parte di sé da dedicare alle cose belle della vita, compreso l’amore, seppure in una città modaiola e moderna come Tokyo. Il film di Sofia Coppola racconta di quei particolari momenti della vita: sai quando s’incontrano persone che, all’inizio non ti dicono nulla, ma che poi scopri far parte di te e della tua vita… Magari quando sei solo con te stesso, in una camera d’albergo, d’avanti al televisore, in una notte insonne. Ciò che deve accadere, accade.
Lost in translation non è il tipico film americano. Stando a ciò che lo stesso biondo platino, Bill Murray, ha detto a Venezia: “Lost in translation è un film sulle differenze culturali”. Infatti, anche in questo film, come in Le invasioni barbariche nelle sale in questi giorni, si mettono a confronto Occidente e Oriente, una parte di mondo capace di esprimere di più le proprie emozioni e sentimenti, e un’altra, sicuramente quella orientale, che mantiene un atteggiamento di grande circospezione a riguardo. Sofia Coppola rivoluziona la nostra visione del Giappone, così come ha sostenuto l’attore: “In America in particolare siamo abituati a vedere soprattutto giapponesi che sono degli uomini d'affari. E gli uomini d'affari sono noiosi dappertutto. Negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone”.
La Coppola mette insieme due corpi e due anime differenti, che hanno in sincrono il respiro e l’ingenuità dello sguardo dei personaggi delle commedie sofisticate degli anni Trenta, malinconici e solinghi. Ciò che sorprende è il talento di questa regista, capace di mostrare i piccoli e semplici gesti: l’abbraccio intenso, le parole sussurrate all’orecchio e un saluto definitivo, che non lascia spazio ai rimpianti e dispensa dalle lacrime facili.
Ad impreziosire la storia, di per sé affascinante, oltre all'abilità espressiva degli attori, l’intrigante montaggio, grazie al quale lo spettatore ha l’impressione di comunicare con gli attori, e in particolare con Bob. Notevole anche la colonna sonora, intensa e di prestigio, che armonizza la psichedelia elettronica dei Death in Vegas, con l’acoustic di Sebastian Tellier, passando poi addirittura per The Jesus & Mary Chain. Ciliegina sulla torta: una breve sequenza tratta da La dolce vita, con tanto di “Marcello, come here”. Rimpianto per le cose perdute? Non così per Sofia Coppola. Piuttosto la traduzione di una vita, altrimenti impossibile da viversi, se non tradotta in amore.
Giancarlo Visitilli
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