Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
I fratelli Carmelo (Luigi Maria Burruano) e Salvatore (Franco Scaldati) La Marca da fabbricanti di statue sacre si trasformano in produttori cinematografici. Nel 1947 fondano a Palermo la Trinacria cinematografica potendo contare per il buon esito del loro sogno nel fondamentale appoggio di quattro illustri personaggi : il Cardinale Vincenzo Sucato (Pietro Giordano), l'onorevole Porcaro, il direttore del banco di Sicilia Giacomp Conigliano e del barone Cammarata (Mauro Spitaleri). Soprattutto quest'ultimo farà decollare l'impresa dei fratelli La Marca. Appassionato di scienze occulte e della figura mitica del conte Cagliostro, il barone vende ogni sua proprietà per finanziare "Il ritorno di Cagliostro", il film che dovrà rendere finalmente giustizia a un campione dell'oculto. A interpretare il leggendario conte viene chiamato una celebrità di Hollywood, Errol Douglas (Robert Englund), un attore devastato dall'alcol e avviato a un irreversibile declino. Per dirigerlo viene ingaggito Pino Grisanti (Pietro Giordano), un maldestro artigiano del cinema strappato alla concorrente Zagara film. Ad un certo punto compare un nano (Gerardo Marotta) che si mette a muovere le scene come fossero i sipari di un teatro e racconta una diversa versione dei fatti, meno eroica e sognante e più vicina alle comuni vicende dell'uomo contemporaneo.
Raccontato così sembra quasi un film "normale", di quelli che seguono un andamento canonico, con un inizio e una fine riconoscibili e con in mezzo una storia che si sviluppa. In realtà con Franco Maresco e Daniele Ciprì non si può mai parlare di un percorso lineare e anche se il surrealismo allucinato degli autori di "Cinico tv" appare qui più mitigato rispetto alle precedenti opere, è sempre il grottesco a dominare la scena per una rappresentazione assurdamente tragicomica della realtà a fare da sfondo alla natura irrimediabilmente sistemica del brutto. C'è sempre il bianco e nero (ancora ottima la fotografia di Daniele Ciprì) a conferire al film il senso di desolante aridità emotiva, poi ci sono preti che ballano ambiguamente tra di loro nel vescovato e maschi travestiti da donna, madri che scoreggiano e figli che ruttano, nani ballerini e attori improbabili. Il tutto fa da scenario ad una storia semiseria sul cinema e per il cinema, dove ci si concentra sul suo implicito potere affabulatorio per fare un ritratto agrodolce sulla società degli uomini e dove si usano i diversi generi che lo caratterizzano per destrutturarne forma e sostanza. "Il ritorno di Cagliostro" parte come un omaggio affettuoso a due sognatori incapaci (ricordando in questo l'omaggio fatto a Ed Wood da Tim Burton) la cui impresa è documentata tra il serio e il faceto da alcuni illustri critici che ne ricostruiscono filologicamente l'opera (tra i quali Gregorio Napoli e Tatti Sanguineti). Finisce come la fine di ogni illusione poetica mostrando l'insopprimibile legame tra i "poteri forti", la mafia e la Trinacria cinematografica, con un cerimoniere nano che conducendoci sui luoghi del misfatto mina le fondamenta stesse del pioneristico tentativo di riscattare una regione attraverso la forza culturale del cinema."Il ritorno di Cagliostro è il nostro omaggio a tutti quegli uomini di cinema che dal cinema sono stati rovinati. Un film involontariamente autobiografico. Modestamente, i fratelli La Marca siamo noi". Ciprì e Maresco fanno un cinema estremamente colto dando sempre l'impressione di non prendersi troppo sul serio, fatto di corpi mutilati e facce umiliate, con un linguaggio istintuale e un estetica priva di bellezza. Una poetica dello strazio che inorridisce l'occhio e scuote la mente. L'antitodo migliore a quella generale regolarizzazione del brutto che i due autori siciliani sogliono rappresentare. Unici.
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