Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
La vocazione dissacratoria di Ciprì e Maresco si attacca questa volta allo stesso loro cinema, in aperta opposizione al narcisismo autoriale di chi ama raccontarsi con antologie retrospettive e documentari autobiografici. In questo film, un falso storico di inverosimile bruttezza, i due registi si costruiscono alle spalle un inglorioso passato. Al grido di "Italians (Sicilians?) do it worse", distruggono il mito del pionerismo artistico, che non è necessariamente eroico: con dovizia di esempi si prodigano a dimostrarci che fare una cosa per la prima volta non basta certo a renderla memorabile. Secondo la teoria sostenuta ne "Il ritorno di Cagliostro", le radici della loro arte affonderebbero in una irrimediabile assenza di cultura cinematografica della Trinacria, alla faccia di tutti quanti confondono l'amor di patria con il campanilismo acritico e compiaciuto. Fare dei limiti e del degrado uno spunto narrativo significa comporre una tragedia alla rovescia, in cui non si racconta la parabola discendente di un personaggio illustre, perché tutto inizia dall'epilogo: la vicenda parte già dal basso, in un contesto popolato di poveri diavoli, e procede rapidamente verso la rovina, creando un vortice in cui tutto precipita.
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