Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
Quando uscì il (penultimo? terzultimo? scrive a getto continuo) libro di Camilleri, "La presa di Macallè", un recensore scrisse che si trattava di "un romanzo della minchia", per l'argomento e il linguaggio trattato. "Il ritorno di Cagliosotro" è un film della minchia: inizia infatti con una statua del Cristo con una minchia enorme (e infatti il prete che l'aveva commissionata la riporta agli artigiani che l'hanno realizzata) e continua con una serie di minchie pronunciate da tutti i personagi, primo tra i quali il Cardinale Sucato. Il film di Ciprì e Maresco nel raccontare la storia dei fratelli La Marca che da fabbricanti di statuine votive diventano i boss della Trinacria Cinematografica a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1950, sfornando minchiate di film una dopo l'altra, si rifà nello schema a un mix tra il falso documentario alla "Zelig" di Woody Allen e la ricostruzione affettuosa alla "Ed Wood" di Tim Burton, con Robert Englund in un ruolo simile a quello che fruttò un meritatissimo Oscar a Martin Landau.
Ma c'è molto di più: da scene felliniane survoltate (fino a sfiorare la parodia) come quelle dei preti che ballano a omaggi a Buñuel, con quel cardinale blasfemo e quegli straccioni talmente laidi da rasentare il sublime; e c'è un nanetto che a un certo punto prende le fila del racconto, e pare uscito da "Freaks" o da "Anche i nani hanno cominciato da piccoli", ci sono scene che ricordano i film di David Lynch ("Velluto blu" e "Twin Peaks") e la resa dei conti tra mafiosi che sembra uscita da una versione trash di "Quei bravi ragazzi". No, probabilmente il film non ha alcun senso, ma è fatto bene sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista artistico con attori (ed è la prima volta che il duo siciliano si affida anche a professionisti), come Robert Englund, eccezionale nel rappresentare un attore alcolista e decaduto ispirato a molti divi hollywoodiani che venivano a riscuotere in Italia gli ultimi spiccioli della loro carriera, Franco Scaldati e Luigi Maria Burruano nella parte dei due fratelli La Marca, e l'ineffabile Pietro Giordano, visto decine di volte (anche nei panni della merda, o della carogna) a Cinico TV, che interpreta addirittura due personaggi: il laidissmo Cardinale Sucato, con tanto di fetida mamma al seguito, e il regista Pino Grisanti, al cospetto del quale Ed Wood sarebbe stato un fortunato genio del cinema.
E su tutto domina l'estetica del laido di Ciprì e Maresco, fatta di personaggi troppo zozzi per le loro ambizioni (entrare nel mondo del cinema), con madonne brutte come scimmie tanto che i fedeli non entrano più in chiesa, sante rosalie che sembrano il ritratto del bruciaculo, attori che, letteralmente, danno i numeri, mafiosi che prima o poi passano all'incasso, e soprattutto i due autori si affidano ad una grande, potente, incommensurabile, minchia.
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