Regia di François Dupeyron vedi scheda film
Dovremmo essere a metà degli anni sessanta (lo si intuisce dalle risonanze rock del nostalgico soundtrack). Le strade di Parigi sono tùmide e calde. Nel quartiere ebraico della classe operaia imperversa il business della prostituzione. Le passeggiatrici esercitano una certa fonte di fascino per Momo (Pierre Boulanger), il quale le studia dalla finestra dell’appartamento. Poi preparerà la cena per il padre. La madre di Momo è deceduta, un fratello più grande è scappato, e il genitore è un freddo professionista. Ma la sua vita non è sola. A gestire un negozio di alimentari dall'altra parte della via vi è Monsieur Ibrahim (Omar Sharif). La baiadera Sylvie si concede per l’”iniziazione sessuale” del ragazzo, che racimola i risparmi del salvadanaio per avere la prima esperienza erotica. Di sorpresa compare Brigitte Bardot (Isabelle Adjani). Sta girando un pezzo di un metraggio (non è specificato quale) vicino casa di Momo, e fa amicizia con Monsieur Ibrahim. Dopo una disgrazia inaspettata, Momo decide di affidarsi ad Ibrahim, constatando la saggezza e il carisma del bottegaio. A questa scelta antecede un'imbarazzante situazione in cui Momo viene pescato mentre taccheggia fra gli scaffali. L'uomo, ciò nonostante, non sgrida Momo per il gesto, e si propone in veste di amico e guida del fanciullo, citandogli spesso gli insegnamenti delle “rivelazioni di Maometto”. Ibrahim sogna inoltre di tornare un giorno nella sua terra natale. Momo desidera prendersi una pausa dalle malesorti domestiche. I due si avvieranno in un catartico viaggio attraverso Istanbul e l’Anatolia. Il poeticismo di supporto concretizza un’effigie ammirevole tra un rampollo orfano e lo stagionato mussulmano. Il simbolismo dei “fiori del corano” si focalizza sull’anfratto cammino esistenziale, il quale si estenderà dall’infanzia alla vecchiaia. Equilibrio, soavità e lirica permeano questo racconto tratto dal romanzo di Éric-Emmanuel Schmitt e diretto con un tocco garbato da François Dupeyron (1950 – 2016). Un film che non aspira a scandagliare in modo necessariamente attendibile fenomeni quali l’integrazione e la conflittualità delle tradizioni, ma si fa seguire gradevolmente. La chimica dei protagonisti tutto sommato regge adeguatamente una commedia agrodolce, con attimi di mestizia e regolari dosi di zuccherosità; malinconica e artigianalmente apprezzabile.
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