Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Mattew, un americano di stanza per un anno nella Parigi del 1968, incontra i gemelli Teo e Isabelle, che hanno le sue stesse passioni: cinema, musica e politica. Tra loro si instaura una corrispondenza fisica e psicologica istintiva ed al contempo morbosa…
Il biondo attore con il cognome di Brad e la fisionomia (nonché il doppiatore italiano) di Leonardo, si spupazza la disinibita Eva Green copulandoci sotto gli occhi indifferenti del fratello (per dirla tutta, addirittura per imposizione di quest’ultimo); poi il sangue di lei diviene il collante di un appassionato bacio, precursore di un ulteriore amplesso, e di un altro ancora. A seguire Teo e Mattew litigano sul Vietnam dopo essersi passati il fumo da una bocca all’altra nella stessa vasca da bagno; Isabelle li raggiunge, si fumano una canna e si addormentano; al risvegliano si giurano tutti amore. Ma quando poi la ragazza prova a depilare l’amico americano questi dà di matto…
La precedente descrizione, riferita ad alcune delle scene centrali del film, detta così può apparire una boiata. Tuttavia è quasi certo che vedendole tali scene, la valutazione non cambi. La dissolutezza senza senso del trio, la bassezza (non solo morale) nella quale vivono, la sporcizia, l’incertezza, la follia, sono i tratti distintivi di un rapporto personale empatico che vuole essere la fotografia di un’epoca. Guardando in profondità, i tre ragazzi sono una rappresentazione allegorica dell’epoca sessantottina (contestazione, caos e voglia di cambiamento), della situazione geopolitica (l’America si fa trasportare dal modus operandi europeo, pur essendo stata la genitrice del fenomeno stesso), l’incompatibilità culturale tra i due Continenti (simboleggiata dalla rottura dei rapporti nel finale), il mancato ostracismo della coscienza (genitori) su certe scelte, tanto che, constatato che la situazione è fuori controllo, anziché intervenire (svegliare i ragazzi e punirli), favorisce l’anarchia (lasciandoli dormire) ed, anzi, li fomenta (finanziandoli)… Ma i ricami e le metafore, anche molto più sottili e meno banali di quelli brevemente elencati, possono essere numerosi qualora sottoposti ad un’esegesi non sommaria.
Eppure sorprende il numero di cliché che Bernardo Bertolucci è in grado di raccattare e mettere assieme senza tuttavia farsi sfiorare dal pensiero di aver seriamente esagerato! Un barocchismo ostentato (per la verità già retaggio del soggetto di Gilbert Adair, a cui è affidata anche la sceneggiatura) che Bertolucci cavalca alla grande, ricordandosi in parte che “Ultimo tango a Parigi”, pur non essendo il suo miglior film in carriera, è tuttavia quello più ricordato. Il burro di Brando e Schneider sono poca roba rispetto alla peluria ostentata della Green, ai primi piani del pene di Pitt e Garrell, ai seni al vento che scorrazzano per tutto il film, ai rapporti simil-incestuosi, agli amplessi consumati con voracità in una casa diventata immondezzaio. Veramente troppa roba per nascondersi dietro la scusa di voler descrivere metaforicamente un’epoca importante, ma caotica, eccessiva e ricca di nonsense.
E non salvano Bertolucci nemmeno i numerosi richiami cinefili o musicali di cui la pellicola è intrisa, tanto che “The Dreamers – I sognatori” è archiviabile come un’ottima occasione per constatare il declino artistico di Bertolucci rispetto al suo periodo d’oro, oltre che per ammirare le grazie sopraffine e la nonchalance nel mostrarle della folgorante attrice protagonista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta