Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Inutile dire che avrei voluto essere lì, in mezzo a loro tre. Così come sarei stato amico di Ken Park. Il discusso film di Bertolucci trova proprio nella sua discutibilità la sua bellezza. Diversi miei amici l'han cestinato, io no. Non lo troverò magari un capolavoro, anzi a volte è presuntuoso, ma il fascino della storia non ne viene comunque intaccato.
Credo che per capirlo completamente bisognerebbe avere una cultura cinematografica su Goddard e amici, che io non ho. Ma allora, noi figli del 2000, non possiamo godere di questa pellicola? Sì che possiamo. Perchè la storia dei due gemelli (bellissima la Eva Green; efficace e superlativo Louis Garrel), e del disorientato americano-Pitt (che ho lungamente preferito in "Formula x un Delitto"), è morbosamente ipnotizzante. La fuga dalla prosa borghese, trova rifugio in una "malattia sessuale" fatta di corpi che si scoprono e che godono l'uno dell'altro. Poteva essere l'alcol (e anche nel film un po' gli si da peso); poteva essere l'haschish; il regista vi ha preferito il sesso, e il crollo innocente dei suoi tabù.
Il cinema come paradigma della nostra vita? Ci chiede Bertolucci. L'ho sempre pensato, allargando tale nobile titolo anche a letteratura, teatro, musica, fumetto, ecc.. Ma il cinema, complice il suo immediato fascino, e la sua prepotente presa sui nostri sensi, è di gran lunga l'arte che più s'avvicina a essere il nostro paradigma. Per certi versi, c'è anche chi non ha gradito il film, leggendolo solo superficialmente, e magari non apprezzando la facilità con la quale il sogno si rompe. La rottura è resa solo sul finale, quando i giovani sognatori non sono poi così diversi dai fascisti che attaccano. Ma questo è un aspetto della nostra politica che ho sempre visto, e descritto anche in un mio racconto "Il Giovane Straniero". Ma per chi non ha gradito il film dico: facciamo finta che la dimensione in cui fuggono i tre protagonisti sia proprio una "malattia", e immaginiamo che la società, con le sue forme e le sue convenzioni, rappresenti la sanità, il dottore che deve curare tale malattia. Ecco, e adesso chiediamoci: ma è proprio necessario curarsi?
Intenso e affascinante. Un ruolo che avrei interpretato senza problemi. Anche se sul finale diventa un po' la controparte discutibile del sogno sessantottino, rimane un personaggio, che forse anche proprio per questa sua trasformazione, ci risulta più affascinante. Ma bisogna proprio dirlo, qui nei panni di Theò, Luis Garrel, insieme a parecchi altri, ma su tutti l'americano Josh Hartnett, può entrare di diritto nell'immaginario di noi giovani. Perchè, constatando la bellissima "età cinematografica" dei mitici Gene Hackman, Clint Eastwood, Sean Connery, Donald Sutherland, Dustin Hoffman, Jon Voight, Bob De Niro e Al Pacino, rischiamo di diventare orfani di quei nostri personalissimi "Caronte", che ci conducono là, dove il cinema diventa paradigma di noi. Del mondo. Della vita.
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