Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Tratto da un romanzo di G. Adair, il quindicesimo lungometraggio di Bertolucci è un film che, a partire dal titolo, si nutre dell’utopia rivoluzionaria del Maggio ’68, un momento storico che secondo il regista ha cambiato il mondo e scosso in profondità la società occidentale, ma, in maniera quantomeno singolare, lo fa più sul versante dei comportamenti privati e delle relazioni che si instaurano fra i personaggi che non su quello pubblico e politico. Infatti, a parte qualche accenno alle contestazioni per il licenziamento del direttore della Cinémathèque H. Langlois e qualche immagine di repertorio di De Gaulle, per quasi tutto il film Bertolucci si concentra con un accanimento fin troppo insistito sullo strano “ménage à trois” che si crea fra un fratello e una sorella gemelli parigini e un americano da loro conosciuto alla Cinémathèque, che, quando i genitori li abbandonano temporaneamente per un viaggio, si portano l’amico a casa e lo coinvolgono in una serie di giochi mentali ed erotici sempre più estremi. La dimensione claustrofobica di questa segregazione volontaria ricorda da vicino quella del celebre “Ultimo tango”; tuttavia, le provocazioni sessuali che allora destavano scalpore e irritavano i benpensanti in questo film sanno un po’ di déjà-vu e non sempre sfuggono al rischio di un voyeurismo un po’ compiaciuto.
I tre personaggi si muovono e si atteggiano come se fossero in un film, citano brani di dialoghi tratti da film hollywoodiani classici o della Nouvelle Vague, dibattono aspramente sulla grandezza di Chaplin e Keaton e, così facendo, immergono lo spettatore in un flusso di cinefilia che risulterà gradito soprattutto a chi già conosce quel genere di cinema, mentre potrà sembrare troppo insistito o incomprensibile ai giovani che ignorano chi siano Godard o Bresson. In ogni caso, il film risulta riuscito soprattutto dove riesce a far emergere le motivazioni dei personaggi dal contesto concreto e non dal gioco citazionistico: così, la sostanziale immaturità e lo squilibrio in cui si dibattono le vite dei due gemelli trovano un efficace sbocco nel finale nella loro probabile adesione alla lotta armata, mentre la posizione più moderata e riflessiva dell’americano di fronte all’uso della violenza si riallaccia all’imbarazzo da lui precedentemente dimostrato verso i rituali più trasgressivi in cui veniva coinvolto dai due fratelli.
In conclusione, il film si fa apprezzare più per la maestria figurativa di cui testimoniano certe inquadrature e per l’efficace direzione degli attori che non per la sostanza di un discorso in cui il regista si sentiva molto coinvolto a livello personale, ma che sullo schermo non riesce ad affiorare con quella prepotenza con cui Bertolucci avrebbe voluto illustrare il ’68 a chi non l’ha vissuto o a chi ne ha rinnegato l’importanza. In parole povere, se la cornice fosse stata un’altra il risultato non sarebbe stato molto diverso. voto 7
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