Regia di Woody Allen vedi scheda film
IO E ANNIE, cavallo di battaglia della filmografia d'un maturo genio, lasciato in eredità (di reinterpretazione) alle nuove generazioni.
E nel contesto di tale filmografia, l'idea ci sta bene. Lo stile del regista è sempre quello: misogeni andirivieni sentimentali, gag da pochade utilizzate come momenti di raccordo, scenografia curata, fotografia tenue ma espressiva, sottofondo jazz, vaniloqui nichilisti che ben s'addicono alle chiacchiere con gli pseudo-amici al tavolo di un locale.
Ma è difficile che artisti postumi, per giunta in erba, possano ripresentare - infallibilmente - uno stile che è personale, addirittura accompagnati mano nella mano dall'autore stesso.
Perciò ci ritroviamo un'anodina Christina Ricci, presente nel cast per via dei suoi tratti infantili, che avranno sicuramente acceso la fantasia del regista.
Poi vi è un Jason Biggs nei panni dell'allievo/figlioccio, che dimostra la sua mera funzionalità quando, con poca convinzione, ricrea i proverbiali monologhi verso la telecamera: come alter-ego andranno molto meglio Will Ferrell in MELINDA E MELINDA o Larry David in BASTA CHE FUNZIONI (quest'ultimo film, semmai, potrebbe essere il suo vero testamento). E bisogna sottolineare che, nelle "American Pie comedy", Biggs funzionava bene ...
Meritava più spazio, semmai, l'impeccabile Danny DeVito, per quanto sia stato inserito nelle scene un pò forzatamente, come d'altronde lo stesso Biggs ...
Rispetto al precedente BROADWAY DANNY ROSE - che contemplava il senso di colpa cattolico - abbiamo occasione d'assistere ad un indottrinamento sul principio del taglione, da parte di Woody verso il suo giovane amico: basta vedere come viene sbolognata senza pietà, stavolta, la figura del fiducioso quanto inetto impresario. Dietro questo smussamento, ci sarà la (pur lieve) mano della Dreamworks, ma non è detto che sia un male a livello esegetico. Infatti per la prima volta, al di fuori di una sua pellicola comica, il nostro regista cult trasforma la sua melanconia in rabbia devastante, in quella che è forse la sequenza più riuscita del film.
La vera morale della favola? L'opera è interessante quando entra sullo schermo il suo creatore.
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