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Goodbye Dragon Inn

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

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La recensione su Goodbye Dragon Inn

di alan smithee
10 stelle

locandina

Goodbye Dragon Inn (2003): locandina

VENEZIA 76 - CLASSICI RESTAURATI "Lo sai che in questo cinema ci sono i fantasmi?"

Con questo splendido inno al cinema (inteso come sala cinematografica), locale demode' e deserto dove si affollano, assieme a solitari taciturni individui, i fantasmi degli attori dei tempi gloriosi, il grande regista Tsai Ming Liang, decisamente tra i miei preferiti, realizza il suo capolavoro definitivo, l'inno ad un cinema (inteso questa volta come arte) che si esprime per immagini, o meglio per fotogrammi piu' che con la parola: questa si limita ai dialoghi del film che viene proiettato, un vecchio cappa e spada orientale intitolato "Dragon Inn" (La locanda del dragone).

La sala, immensa ed ormai impossibile da riempire, accoglie per l'ultimo spettacolo solo qualche nostalgico spettatore. A questi si aggiunge, oltre ad un gatto nero, un giovane timido ed impacciato, entrambi con l'unico fine di ripararsi dal violento acquazzone che si sta abbattendo in citta'. Intanto la bigliettaia, visibilmente claudicante, lascia la sua postazione per cercare il proiezionista, senza mai riuscirci, in un gioco di corse (si fa per dire) e rincorse scandite ad un ritmo lento ma preciso come un orologeria. La scoperta di un mondo misterioso e quasi magico da parte del ragazzo ("questo posto e' infestato di fantasmi" si sente dire da un individuo in uno dei pochissimi dialoghi della pellicola), e la ricerca spasmodica della donna zoppa rendono il film affascinante nelle sue riprese ed angolazioni che costituiscono non solo uno stile unico ed originale di questo straordinario regista malese, ma proprio un linguaggio cinematografico che trova pochi altri eguali colleghi in grado di esprimersi con tale padronanza e capacita' persuasiva.

E i fantasmi forse esistono davvero, e si manifestano sotto forma degli attori che hanno preso parte al film che si sta proiettando, che si riguardano commossi ed emozionati, quasi in lacrime. 

scena

Goodbye Dragon Inn (2003): scena

Ogni ripresa - alcune lunghe fino a sei minuti - pedina i suoi personaggi, spesso ripresi ad affrontare situazioni ordinarie che mettono in evidenza goffaggini ed insicurezze. I corridoi bui e degradati percorsi con estrema lentezza dalla donna zoppa sono un teatro scarno ed essenziale e quasi horror davvero ammaliante: gli orinatoi infiniti (simbolo di un'epoca in cui i cinema erano davvero affollati) in cui uomini insicuri e curiosi attendono minuti estenuanti per concludere le proprie deiezioni liquide, e qua e la' curiosano furtivi il proprio vicino per quella inguaribile tendenza tutta maschile a confrontare misure e dimensioni con quelle di chi ci sta attorno; situazioni bizzarre e maliziose in cui da un cesso esce improvvisamente un uomo quando poco dopo la stessa porta si riapre e spunta una mano e un'ombra che attende furtiva il momento giusto per uscire; e ancora il giovane protagonista che si trova incastrato tra uno spettatore spettrale ed immobile ed i piedi nudi di quello seduto dietro e comodamente e sfacciatamente disteso.

Intanto il film prosegue fino al suo epilogo, la tempesta si placa, il proiezionista (Lee Kang- sheng, attore feticcio e qui in un ruolo fondamentale ma, per la prima volta, non da protagonista) torna a farsi vivo (abbiamo pure compreso bene dove si trovava, ripensando alla scena nei cessi), sistema le sue cose e spegne tutto. Il cinema chiude: "temporanemente" c'e' scritto sul cartello, ma chissa' se riaprira' davvero. E i fantasmi che fine faranno quando questo storico locale diventera' un deposito o un parcheggio? Pathos, nostalgia dei bei tempi del cinematografo, una dichiarazione d'amore per un luogo che non e' piu' in grado di riunire folle, ma solo singole bizzarre solitudini di umanita' alla deriva alla ricerca spasmodica di un contatto umano.

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