Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Continua il lungo viaggio di un uomo, di un saggio, di un regista come Manoel de Oliveira, che ha ancora voglia di raccontare, ‘parlare’, più che far vedere. Lo dimostra con l’ennesima prova della sua bravura, in un film da non perdersi assolutamente, Un film parlato, in Concorso nella Sezione principale della 60° Mostra del Cinema di Venezia 2003.
Chi parla, in realtà, nel film sono i luoghi (Marsiglia, il Castel dell’Ovo di Napoli, il Vesuvio, Pompei, Atene, Istanbul, ecc) e soprattutto la loro Storia. Quest’ultima, come una dea, è personificata in una giovane insegnante, che viaggia insieme alla figlia in una crociera dal Mediterraneo a Bombay, per raggiungere suo marito aviatore. L’insegnante di storia incontrerà tre persone di differenti nazionalità: una donna d’affari francese, una ex modella italiana, un’attrice greca e il capitano, un americano di origine polacca, prigionieri di ricordi e piccoli rimpianti.
Un viaggio parlato si svolge attraverso il viaggio didattico, dei luoghi (nella prima parte), dentro la civiltà mediterranea o almeno di ciò che di essa oggi rimane, e il viaggio interiore (nella seconda parte), alla scoperta delle proprie radici e della propria storia. Un percorso, perciò, multietnico, abitato dai Miti e dalla Storia, come per stabilire la giusta distanza tra le persone, che parlano lingue diverse, e i fatti.
I paesi, le storie, l’aria e i siti delle diverse civiltà, come tanti quadri sono messi in mostra, con un’unica cornice che li accomuna: la prua di una nave che infrange il mare, ora calmo, poi ondoso. Come la Storia dell’umanità tutta, in questi ultimi anni in particolare, ‘agitata’ dalle contraddizioni (religiose, politiche, economiche, sociali…).
Per questo, il film di de Oliveira è anche un’analisi sulla frammentazione dell’identità nazionale, cancellata dall’idea ci una comunità europea e dall’abbattimento delle barriere, non ancora sgretolatesi nell’animo degli uomini. Mai come in questo film l’attualità è ritratta in diretta, nonostante il film del regista lusitano è stato girato prima dell’attacco delle Torri Gemelle e quindi dell’ultima strage a Madrid. Ma quest’intuizioni capitano sempre e solo ai grandi uomini come de Oliveira, che in questo viaggio ci fa avvertire la leggerezza e la maturità della sua vecchiaia, convincendoci ancora una volta che il presente non esiste o, almeno, non lo possiamo conoscere. Infatti, più si prosegue nel viaggio, più ci si rende conto di non vedere nulla e si ritorna all’immagine iniziale, alla partenza dal porto di Lisbona, quando la nebbia improvvisa e imprevista, impediva di vedere. Ma, per chi conosce il cinema di de Oliveira sa che non è tanto quello che si vede ad avere importanza, quanto quello che resta fuori quadro. Questo è ciò ch’è sempre affidato alla nostra attenzione. I numerosi film di questo regista ci hanno sempre posto dinanzi ad un capovolgimento delle cose e delle situazioni, per trarre fuori l’essenza della storia, che è sempre il contrario di quello che i libri ci raccontano. Come lo stesso racconto del mito di Babele, nel film, descritto al contrario: non più la torre dell’incomprensione e della separazione delle civiltà, ma anzi, il pretesto della perfetta armonia tra popoli e linguaggi. Tanto che, attorno ad un tavolo si parla il greco, l’inglese, il francese, l’italiano, senza bisogno di traduzioni intermediarie. Anzi, la nota stridente è che l’unica lingua non compresa è il portoghese, per assurdo la lingua dell’insegnante di storia, ma anche dello stesso regista, oltre che dei navigatori portoghesi che hanno scoperto e colonizzato le terre sconosciute. La lingua di Un viaggio parlato, è dunque una lingua universale, di cui nessuno ancora ha osato comporre ‘dizionari’.
Lo sguardo dell’anziano regista è ancora quello di una fanciulla, ingenua e curiosa nonostante tutto del mondo. Una curiosità al femminile, messa in bella mostra anche attraverso la presenza di tre attrici formidabili, ognuna differente per la propria bellezza: mediterranea (Sandrelli), esotica (Papas) e propriamente femminile (Deneuve). Sembra che il regista abbia voluto omaggiare ogni paese con il suo prototipo di bellezza femminile.
Di fronte a tanta bellezza però il male. “Cave canem”, si legge all’ingresso di una casa pompeiana sommersa dalle ceneri. C’è sempre qualcosa o qualcuno, una sorta di legame, che riporta l’umanità allo stato di originaria barbarie, che la fa retrocedere. Proprio come il cane al guinzaglio di una barca in movimento sul molo. E’ breve la distanza che intercorre fra il bene e il male, la vita e la morte. Alla fine, lo stesso “orrore” di Apocalipse now, risorge nel finale del film, lasciandoci con l’idea iniziale di un barbaro presente che continua a scrivere la storia di ogni giorno.
Giancarlo Visitilli
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta