Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Bisogna fare uno sforzo e dimenticarsi per un attimo l'assurda crudeltà di uno spettacolo come la corrida, perché Rosi ce lo presenta senza alcun compiacimento. Ci vuole stomaco, infatti, per esaltarsi di fronte ad uno spettacolo che termina inevitabilmente con un cadavere nell'arena. Ma non è lo spettacolo in sé che interessa a Rosi, perché la tauromachia è, quando tutto va bene, un evento fatto di sudore, da detergere con l'asciugamano, e tensione, culminante in un atto eroico («il momento della verità», come lo definisce l'istruttore dei toreri) che consiste nel finire un toro che già sgorga sangue dalle narici.
Ma il senso della corrida è, secondo Rosi, il suo rappresentare l'estremo sbocco, per così dire "lavorativo", per i poveri di una Spagna franchista ancora contadina, che chiudeva ogni porta (anche quelle delle fabbriche sfruttatrici) in faccia ai suoi figli più poveri.
Rosi racconta la corrida come lavoro, dal guadagno alto (non direi facile) e dal rischio altissimo, con il suo contorno di fanatismo quasi religioso (Miguel ha un altarino personale sul quale accende dei ceri prima delle corride; le madri presentano i figlioletti al torero, come fosse un santone) e affarismo, un lavoro pericoloso e immorale, che purtroppo prosegue anche nella Spagna di oggi, quale ignobile attrazione turistica.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta