Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Zatôichi è uno spettacolo notevole che ci arriva da parte di un grande artista dei nostri tempi, eccellente come attore (credibile perfino truccato da Polentina), eccezionale come regista.
Kitano si getta nel magico mondo dei samurai come molti registi americani (e non) si buttarono a fare film western. Tanto che, se qualcuno non ci avesse già pensato - o avesse usato altri termini - non esiterei a definire "Zatôichi" un eastern, cioè un western dell'estremo oriente.
Kitano è un grande, ormai non ci sono più dubbi: costruisce un film in costume credibile e per niente noioso, ci rende sopportabili perfino le danze kabuki (o cosa diavolo sono), imbastisce siparietti irresistibilmente comici contando soprattutto sul personaggio di Shinkichi e sugli avventori della bettola in funzione di coro comico. Kitano non rinuncia ai suoi temi preferiti, in particolare alla violenza (il sangue è più palesemente computerizzato di quello di "Kill Bill", per stemperare l'effetto gore, ma i duelli sono più brevi e incisivi), al mare (che si vede soltanto in una sequenza, quella della morte della guardia del corpo) e al gioco (qui sono i dadi); quest'ultimo tema è funzionale al messaggio che Kitano sembra volerci lanciare: chi non vede sente meglio di chi vede e comunque non tutto è ciò che sembra: le geishe sono veramente due ragazze? l'oste è un oste? lo sguattero dell'osteria è davvero uno sguattero? e il cieco...
Nel Giappone del XIX secolo (almeno credo, dal momento che compare una pistola a tamburo) si aggira un massaggiatore/spadaccino cieco e biondo come Nakata, con il passo malfermo come Nakata. Nessuno sa chi sia, da dove venga e dove vada, ma lui sa chi sono le persone da difendere con la sua katana, di cui è maestro, e quelle da combattere.
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