Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Buongiorno, notte. Il rapporto con gli oggetti: una lettura spietata del terrorismo.
Per la mia generazione, la figura di Aldo Moro ha due volti. Il primo è quello attuale-ufficiale, di un martire il cui sacrificio ha segnato il punto critico dopo il quale il brigatismo rosso, con i suoi proclami, le sue minacce e soprattutto la sua intolleranza, è finito nella pattumiera della storia.
Il secondo volto è una vaga percezione, quasi un deja-vu, di una presenza costante nei discorsi e nella televisione nella mia infanzia. La storia di quel periodo non si studia a scuola e quindi le lotte di potere che videro coinvolto Moro per tutta la sua carriera all’interno della DC, il siluramento di Fanfani, le difficoltà per arrivare alla fase del primo centro-sinistra, il lessico astruso delle “convergenze parallele” sono tutti argomenti per me più interessanti degli eventi che in un tempo brevissimo portarono alla sua morte. Questo secondo volto è difficile da rievocare, basti pensare all’ostracismo operato per anni nei confronti del film “Todo modo” di Petri (non certo il miglior film del regista) tratto dal romanzo di Sciascia (uno dei migliori dello scrittore), nel quale uno dei protagonisti è appunto modellato sullo statista scomparso. Nel film di Bellocchio troviamo il “Moro” ufficiale del “dopo Moro”, il regista ne utilizza anzi l’icona per sviluppare la propria interpretazione dei fatti e lo fa con stile.
Come è costume del regista, le immagini sono suggestive anche se il film è volutamente “spoglio”. Non è stato fatto alcuno sforzo per ricreare gli ambienti dell’epoca: il ministero dove lavora la protagonista pare un luogo immutabile, gli esterni sono volutamente sacrificati (si possono al massimo riconoscere i particolari di un autobus e di un’utilitaria degli anni settanta). L’attenzione è tutta rivolta ai personaggi ed il loro rapporto con gli oggetti è denso di significati.
La cassa
L’errore delle misure è la metafora dell’errore di valutazione per un’azione che avrebbe dovuto avere come conseguenza la rivoluzione proletaria e che invece portò al fallimento il disegno delle Brigate Rosse. “Che falegnami incompetenti” verrebbe da dire ed in effetti quale poteva essere la profondità morale e la statura intellettuale tra le persone di un piccolo gruppo che pretendeva di incarnare un’ ipotetica volontà popolare assoluta?
L’anello
L’ossessività nel mettere e quindi togliere la fede della protagonista all’entrata ed all’uscita dal covo è la metafora dell’ottusità della lotta terroristica. Se infatti portare il falso anello in società può avere il senso di un camuffamento, la necessità di toglierlo appena rientrati tra i complici non può che tradurre le proprie valenze anancastiche; non può che essere insomma uno dei riti in ossequio all’ ideologia-religione del brigatista. Questo confronto, fra ideologia e religione viene infatti ripreso in modo esplicito nel dialogo tra Moro e Morucci (i nomi sono quelli veri anche se sembrano usciti da un film con Totò) quando quest’ultimo dichiara di essere stato, da piccolo, un fervente cattolico e quando lo stesso Moro dice al brigatista che anche la sua è in fondo una religione, ancor più severa della propria.
I libri
I libri rivestono, nel film, un ruolo particolare: sono onnipresenti ed ingombranti. La protagonista legge ossessivamente un unico libro ed allo spettatore non può non tornare in mente il suggerimento di diffidare di chi si atteggi a cultore di un unico libro. Nel covo il libri servono a nascondere, sono un falso, non vengono mai letti (ma si guarda di continuo la televisione, in anticipo sulle abitudini che hanno preso piede nei decenni successivi).
Al ministero-biblioteca i libri sono ancor più numerosi ma rappresentano quasi una seccatura, con la loro necessità di essere spostati, inventariati, timbrati. Anche qui non vengono mai letti, benchè siano facilmente accessibili.
In conclusione, ho trovato il film geometricamente sgradevole, non provocatorio ed anzi limpido, spesso emozionante, ottimo come spunto per riflettere su fatti che sono stati e sono ancora oggetto di discussioni interminabili nel nostro paese. La mia percezione del suo significato, con un occhio anche al film precedente “l’ora di religione” è che intolleranza, conformismo, fedeltà cieca ad un’ideologia o ad una religione siano figli o comunque compagni della frustrazione. L’immagine dei terroristi regalata dal film è quella appunto di persone piccole e frustrate, ben lontane dal mito che forse le avrebbe circondate nel caso in cui il loro progetto si fosse avverato.
Termino con qualche parola sulle polemiche per la mancata attribuzione del leone d’oro. Il film è certamente più significativo per gli italiani, anche se il messaggio può arrivare ad altre culture. Non c’è dunque scandalo se non ha vinto ad un concorso internazionale. Bisogna ricordare che, agli occhi del mondo, le vicende trattate riguardano piccoli uomini alla presa con la piccola storia che si è svolta nel nostro paese negli anni settanta.
Infine, mi sia concessa una critica sulla qualità. Nella scena finale, mentre Moro passeggia libero per strada, si vede sullo sfondo, tra le altre auto, un’Alfa 164 bianca. Dapprima ho preso questo anacronismo per sciatteria piuttosto che interpretarlo come un’ulteriore metafora per indicare che il messaggio di Moro ha superato i confini del proprio tempo per arrivare fino ai giorni nostri. Ma forse mi sono sbagliato.
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