Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Una riscrittura, a tratti onirica ma certamente toccante e di grande forza, dei 55 giorni più bui della Repubblica Italiana. Purtroppo quella che da molti viene definita “la notte della Repubblica” non risulterà la figlia unica del terrorismo dell’estrema sinistra.
Potremmo definire il film di Bellocchio una riscrittura, a tratti onirica ma certamente toccante e di grande forza, dei 55 giorni più bui della Repubblica Italiana. Purtroppo quella che da molti viene definita “la notte della Repubblica” non risulterà la figlia unica del terrorismo dell’estrema sinistra, in quanto tanti sono i martiri che dobbiamo ricordare. È un film potente e ben recitato, che raccorda scene di fiction a reperti televisivi di forte impatto e il regista non ha paura di raccontare la triste vicenda con esemplare chiarezza, almeno dal suo punto di vista, basato anche sul libro di una ex brigatista: Il prigioniero, di Anna Laura Braghetti.
Accanto ad un magistrale Roberto Herlitzka (premiato col David) e ad un bravo Luigi Lo Cascio, si ammira una perfetta Maya Sansa, trattenuta e spaventata come fosse a rappresentare tutti i dubbi di chi non è convinto di portare fino al termine una così nefasta operazione. A rendere più efficace lo sguardo del regista e dello spettatore contribuisce in maniera esaltante la colonna sonora, ora di Schubert, o quella di Verdi, ora di Offenbach, ma specialmente, quando su viso di Chiara scendono delle lacrime, le dolorose note di Shine On You Crazy Diamond e ancor di più quando partono alte le note di The Great Gig in the Sky con la straordinaria voce di Clare Torry a sottolineare il parallelismo tra la lettera che Moro scrive a sua moglie poco prima di essere “giustiziato” e la lettera scritta dal partigiano Pedro Ferreira, poche ore prima di essere ucciso dai nazifascisti: “Cara Pierina, amore mio, domattina all'alba un plotone d'esecuzione della guardia repubblicana fascista metterà fine ai miei giorni”.
Ed è proprio con quella lettura che Chiara, la vivandiera del prigioniero, apre gli occhi, anzi li spalanca spaventati rendendosi conto che il suo gruppo, politico e militarizzato, insensibile e determinato, ha l’identico atteggiamento ottuso e radicale delle squadracce fasciste che “giustiziavano” barbaramente i partigiani, coloro cioè che contribuirono col loro sangue a far nascere la Repubblica libera e democratica.
La drammatica scena finale:
La sequenza finale che mostra i visi esterrefatti dei potenti politici di allora – durante la cerimonia religiosa - accompagnati dalla musica dei Pink Floyd è un affondo nel cuore e nello stomaco.
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