Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Il rapimento e successivo assassinio di Aldo Moro, nel 1978, ad opera delle Brigate Rosse, caratterizzò il momento più buio degli "anni di piombo". Il film racconta quel periodo e quell'evento, seguendo le vicende di Chiara - personaggio di fantasia, ispirato a due donne coinvolte nel rapimento - appartente alla citata organizzazione e tra i carcerieri del celebre uomo politico. Marco Bellocchio descrive la quotidianità della ragazza, evidenziando le difficoltà incontrate nel conciliare la tensione - oltre le apparenze - ad una vita normale con l'impegno, materiale ed idelogico, connesso all'essere brigatista rossa. Il pesante indottrinamento della giovane non è sufficiente a convincerla fino in fondo della bontà del proprio operato. Da un lato, le esperienze della "normale" quotidianità la convincono dell'inutilità dell'azione violenta. Il regista fa ben comprendere come le motivazioni dei brigatisti risultino non condivisibili, se non assolutamente estranee, anche a chi decenni prima, combattè sotto bandiera comunista contro i fascisti e l'occupante tedesco. Ne dà conto la simbolica sequenza del matrimonio, che mostra una comunità di amici e parenti ricordare quei tempi con affetto, ma non nostalgia; non potrebbe essere diversamente, dal momento che li vediamo floridi e ben vestiti intorno ad una tavola imbandita. Tale società "imborghesita", rappresentata da una sinistra parlamentare pur fautrice di importanti conquiste sul fronte dei diritti, è il primo nemico dei brigatisti, i quali, pur essendo figli di tale società - sono giovani ben vestiti, istruiti, dal parlare forbito - ragionano secondo schemi di pensiero totalmente avulsi dai tempi. Apprendiamo ciò dai loro dialoghi, pensieri, scritti, terminologìe. Aldo Moro, "nemico del proletariato", detenuto nella "prigione del popolo", è "condannato a morte" dopo un "processo" che non ha alcunchè di equo. Tanto fedele, nonostante alcune incertezze, di giorno, ai dettami dell'organizzazione, quanto incerta di notte, Chiara in fantasie portate sulla scena in forma di sequenze oniriche, esprime il desiderio che tutto finisse, o non fosse mai iniziato. La sua mente immagina il celebre ostaggio allontanarsi indisturbato e vagare per Roma, mentre i brigatisti sono profondamente addormentati. Tutti sappiamo quale fu la realtà; Aldo Moro fu ucciso, nonostante lo stesso papa Paolo VI si mosse a supplicare per la sua vita. Le istituzioni rifiutarono qualunque patto con i terroristi; lo stesso politico tentò di far ragionare i suoi sequestratori circa l'inutilità ed il pericolo che la sua morte avrebbe rappresentato per le Brigate Rosse. Ed ebbe ragione; poco dopo il rinvenimento della salma, iniziarono gli arresti ed i processi. A poco servì, ai brigatisti, dichiararsi "prigionieri politici". Già invisi alla gran parte della popolazione, attirarono su di loro odio e disprezzo per l'azione commessa. Il ritmo del racconto è molto lento e consente di apprezzare le lacerazioni interiori della protagonista, interpretata dall'attrice Maya Sansa; la "terrorista della porta accanto" non ha diritto ad una normale quotidianità; non può godere degli svaghi della gioventù, del sentimento, di un rapporto sincero con gli altri. Vive nell'ansia, corrosa dal terrore di essere arrestata, o di apparire vacillante di fronte ai più determinati compagni di lotta. Quasi fa pena, agli occhi dello spettatore, come a quelli di Aldo Moro (Roberto Herlitzka), rappresentato come un anziano ormai rassegnato, preoccupato non tanto per sè quanto per i suoi cari, eppure in grado di esprimersi con autorevolezza e coerenza, mettendo in difficoltà gli acritici interlocutori. Tra i loro interpreti, spicca la presenza di Luigi Lo Cascio. Alle sequenze immaginarie, rappresentate con una fotografia che vede il predominio di colori scuri, si alternano spezzoni di trasmissioni televisive dell'epoca; danno l'idea della gravità della azioni commesse, mostrando i corpi trucidati degli accompagnatori di Aldo Moro al momento del rapimento, e della compattezza della politica e delle istituzioni - almeno di facciata - nel dare risposta ai terroristi. Contemporaneamente, c'era voglia di evasione e frivolezza. Come potevano dunque sperare, costoro, d'essere modello e guida per un "proletariato" che, soddisfatti i bisogni primari e non riconoscendosi nemmeno più tale, era incamminato lungo la via del benessere e della leggerezza ? Marco Bellocchio racconta il tragico evento dal punto di vista del rapito e dei rapitori, dando atto della fallacia delle loro aspettative e dell'inconsistenza dei loro ideali; descrive l'Italia di fine anni '70 e della sua voglia di lasciarsi alle spalle un periodo difficile. Un film da vedere, per comprendere quei tempi in genere, e, in particolare, il fallimento delle Brigate Rosse.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta