Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Il film che fa capire qualcosa degli anni di piombo senza ricorrere alla rigida rappresentazione dei fatti, ma che invece usa la creatività e l'acume dell'artista.
Come una costante propria di Bellocchio (che già con il precedente e discusso Il diavolo In Corpo aveva abbozzato un discorso su quegli anni caldi) si pone la scelta su come rielaborare i fatti, se dall'esterno che ricondurrebbe la rappresentazione verso la convenzionalità, oppure come invece in Buongiorno Notte privilegiando l'analisi interna, intima di tutti i protagonisti. Il racconto si fa tutto interno all'appartamento dove Moro è tenuto nascosto e alla stanza segreta in cui vive quei giorni, ed è proprio questo modo di focalizzarne la presenza nell'aspetto più umano e comune, che porta alla messa in crisi che emerge tra i vari personaggi e al modo in cui si relazionano tra di loro. Trattandoli come soggetti unici e definiti all'interno di una realtà irrappresentabile dal punto di vista razionale, prende le distanze dalla rappresentazione iconica, li isola dal contesto che gli grava intorno. Banalmente i terroristi guardano i notiziari TV che parlano di loro, l'unico contatto con l'esterno, e il flusso continuo e indiscriminato delle informazioni rappresenta già il sintomo di un paese nuovo in lento e inesorabile allontanamento dalla realtà. L'azione disperante dei terroristi come l'insensibilità forzata delle istituzioni si contorna sempre di più come un’ingiustizia, una profonda incomprensione che ferisce lo sguardo e il cuore di ogni spettatore. Chiara la terrorista sogna di vedere Moro muoversi liberamente nel covo, quando legge le lettere dei condannati a morte della resistenza le sembra di ascoltare le stesse parole del politico che rivolge alla moglie, agli amici. Quando ne spia i movimenti dentro la camera in cui è recluso sente di condividere la stessa condizione di restrizione. Eppure al film sul quale si è discusso (ma non troppo..) mancherà proprio quell'interesse di un pubblico generazionale che ha preferito la negazione e il rigetto totale che non cercare il senso e l'origine di quel malessere. Per una curiosa coincidenza Buongiorno Notte cinematograficamente vede la luce con The Dreamers di Bertolucci, contrapponendo due diverse visioni della realtà ma che drammaticamente furono destinate a confrontarsi ed a naufragare insieme. L’unica possibilità di salvezza di Chiara e della sua generazione era quella di cercare di sognare, di evadere da un mondo ingiusto con nuove modalità, per finire nella tragedia di chi si è impadronito della protesta e l’ha ridotta in scontro anziché in confronto. Le rigide teorie dei compagni di Chiara che sono le uniche parole che sanno dire per rompere l’incapacità di tradurre ciò che li circonda, vengono smontate e messe a nudo dalla semplicità del suo collega di lavoro, capace di collegare razionalità e desideri. Il film di Bellocchio in questo caso (e negli anni successivi non sempre gli accadrà) ha il sapore dello svelamento e della riappropriazione e con Buongiorno Notte non ha ottenuto quel riconoscimento che forse merita, la sua verità artefatta diventa manifesto contro l'ideologia e la ragion di stato. Emblematica la scena dell'ascensore nell'ufficio pubblico dove Chiara lavora, all'interno viene tracciata la stella delle brigate rosse e in una sequenza magistrale quando qualcuno vuole utilizzarlo, alla sua vista scappa o si paralizza. L'unico che ne sosterrà la presenza sarà ancora il giovane collega di Chiara, aspirante sceneggiatore di un testo che si chiama come il film, Bellocchio così realizza un parallelismo con l'artista demiurgo che non nasconde la verità, che non può mai sottrarsi ad essa e con il dovere di pronunciarsi nel merito.
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