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Diabolik

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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La recensione su Diabolik

di steno79
7 stelle

Prima di procedere a una recensione di "Diabolik" di Mario Bava, è bene sgombrare il campo per un momento dalle accoglienze critiche che sono state disparate e contraddittorie, dalla celebre stroncatura distruttiva di Tullio Kezich che lo definì "uno dei film più stupidi degli anni Sessanta" alle rivalutazioni odierne che inneggiano al capolavoro con motivazioni piuttosto labili. Il film di Bava è, in fondo, uno dei suoi tanti B-movies, girato con un budget più consistente del solito ma comunque non troppo elevato di 200 milioni di lire sotto l'egida di De Laurentiis, che a quanto pare non si intese troppo col regista, ed è uno dei primi tentativi nel nostro Paese di trasferire l'universo dei fumetti sul grande schermo, qui alle prese con l'universo piuttosto anarchico delle sorelle Giussani che consente al re dei criminali di farla puntualmente franca. Bava si scatena come al solito nell'ideazione di elaborati "set-pieces", per dirla all'americana, dove il ricorso a trucchi di matrice artigianale, insieme ad una fotografia fortemente effettata che intende omaggiare la Pop Art allora al massimo del suo splendore, l'utilizzo di obiettivi grandangolari di derivazione espressionista e un montaggio sostenuto da film action contribuiscono tutti insieme a dare alla pellicola uno smalto visivo che non può certamente essere negato, soprattutto nelle scene ambientate nel rifugio di Diabolik ed Eva Kant e in quelle del furto degli smeraldi di Lady Clark in un castello reso imponente dalle studiate riprese del regista. Kezich esagerò sicuramente a definirlo "stupido", però non si può negare che il film abbia un andamento piuttosto monotono, con una trama composta all'incirca di tre episodi che però non sono saldamente orchestrati nella sceneggiatura del regista, Dino Maiuri, Brian Degas e Tudor Gates (ma chi sono sti tizi? i nomi sembrano quasi degli pseudonimi): in particolare l'episodio di Valmont che si mette d'accordo con l'ispettore Ginko è fin troppo tirato per le lunghe e sbilancia l'equilibrio del film, mentre quello finale del lingotto sul treno è piuttosto sbrigativo e dal fiato corto. Nel cast John Phillip Law e Marisa Mell sono fisicamente adeguati ai ruoli e a modo loro funzionano, visto che non gli è richiesta una recitazione tale da poter guadagnare una nomination; la Mell è oggettivamente bellissima, anche se rimane il rimpianto di non poter vedere nella parte di Eva Catherine Deneuve, che fu licenziata dopo una sola settimana sul set. Michel Piccoli mi sembra efficace nel ruolo dell'ispettore, con uno spaesamento che anticipa con intelligenza l'alienazione del protagonista di "Dillinger è morto", girato poco dopo, e fra gli altri caratteristi mi è piaciuto in particolare il comico britannico Terry-Thomas nella parte del ministro, per quanto relegato soltanto ad un paio di scene, mentre Adolfo Celi colorisce in eccesso nella parte del cattivo Valmont (citazione voluta del protagonista di "Le relazioni pericolose"?). Ottima partitura di Morricone, che dà un bel risalto ad esempio alle scene subacquee e si unisce alla fantasmagoria pop delle illuminazioni e degli effetti speciali "cheap" del Maestro della serie B che tanto piacerà nei decenni successivi a Burton, Tarantino ecc.: non siamo al livello delle sue migliori riuscite come "La maschera del demonio" o "Kill baby kill", il film resta piuttosto debole e sfilacciato nella narrazione, ma come "guilty pleasure" funziona ancora benissimo, a patto di non gridare veramente al Genio come vuole fare a tutti i costi una critica schiava delle mode del momento, più che veramente attenta ai valori estetici del film in questione.

voto 7/10  

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